CISLIANO, UN «PROSIT» SOLIDALE CON LA BIRRA BIOLOGICA

Il progetto è realizzato da don Massimo Mapelli presso la “Libera Masseria” di Cisliano, bene confiscato alla 'ndrangheta, che si avvale di una piattaforma – “Fuori mercato” – per vendere i prodotti coltivati in proprio

Foto da www.caritasambrosiana.it

L’ultimo progetto solidale di don Massimo Mapelli – sacerdote ambrosiano – riguarda il luppolo, col quale si aromatizza la birra. La fase di start up è sostenuta pure da 15 mila euro provenienti dai fondi 8×1000. È solo un capitolo dell’attività condotta dalla “Cooperativa agricola sociale”. L’iniziativa fa riferimento alla “Libera Masseria” di Cisliano, nel Parco agricolo Sud Milano, un bene confiscato alla ‘ndrangheta.

«Il proposito generale – racconta don Mapelli – è dare opportunità: di lavoro per qualcuno, educativa per tutti». La prima sfida pare vinta. Diversi giovani stranieri operano nella agricoltura con contratti trasparenti. La nuova avventura ha garantito un ulteriore posto di lavoro. E un ragazzo, che ha seguito un corso di florovivaista, è stato assunto. La seconda è in fieri e forse non si concluderà mai. Perché l’educazione è un processo che richiede tempo e sinergie. Lo conferma il nostro sacerdote che, come tutti quelli italiani, riceve sostegno anch’egli dall’8×1000: «Oltre agli impieghi, abbiamo dato vita – insieme con altri soggetti – a una comunità di persone che potessero scegliere “da che parte stare” anche quando si è a tavola. Praticando la giustizia attraverso l’opzione della merce, del venditore e favorendo stili di vita sani».

Per questa opera la Masseria si avvale di una piattaforma – chiamata “Fuori mercato” – attraverso la quale vende i prodotti coltivati in proprio. Chi la frequenta sa che, qui, frutta e verdura sono buone e pagate “il giusto”. All’interno della rete citata è avvenuto l’incontro con i birrifici artigianali, in specie lombardi. «Ne è seguita così la decisione – racconta don Mapelli – di fare un luppolo biologico sociale. I birrifici si riforniscono quasi esclusivamente negli Stati Uniti ed in Germania. La coltivazione italiana è scarsa. Nella partita è entrata pure l’Università della Tuscia, con la quale abbiamo firmato una convenzione. L’accademia sta elaborando un progetto per gli agricoltori che vogliono coltivare il luppolo biologico italiano. Noi lo faremo sul nostro mezzo ettaro di terra nei pressi della cascina S. Alberto a Rozzano. Diversi birrifici si sono già fatti avanti per acquistare il prodotto, pur sapendo che costerà qualcosa di più a motivo del rispetto per le persone che lo producono. Questa singolare ragione sarà pubblicizzata presso i clienti dei birrifici, come sigillo del generale scopo educativo».

Il costo di tutta l’operazione ammonta a circa 85 mila euro. Somma assorbita quasi completamente dalla fase iniziale, quella in cui si trova ora il progetto. Affinché il luppolo dia il primo frutto devono passare, infatti, 3 anni. La pianta, per crescere, ha bisogno di un apparato simile a quello della vigna: pali e fili che la sostengano. Con un di più. I piloni devo raggiungere almeno i 6 metri e devono essere garantiti per 25 anni, altezza e durata medie di una pianta di luppolo. In questo campo, gli arbusti messi a dimora sono 1400. «Dal primo raccolto in poi – conclude il sacerdote – prevediamo che il progetto si autosostenga». (Da: www.chiesadimilano.it)

Cernusco sul Naviglio, 30 luglio 2018