IMMIGRATI E CARCERATI: “NON SPETTA A NOI RISOLVERE I PROBLEMI, A NOI SPETTA APRIRE IL CUORE”

Durante la ”Via Crucis” dello scorso 4 marzo, le meditazioni hanno posto l’attenzione su due opere di misericordia corporale: accogliere gli stranieri e visitare i carcerati.

Il cammino ha preso avvio dalla stazione dei carabinieri di via Montello, un “luogo significativo”, così l’ha definito don Ettore Colombo, prevosto della città e responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret. Un luogo “in cui queste realtà, stranieri e carcerati, hanno a che fare con la nostra realtà quotidiana. La stazione dei carabinieri è il luogo dove, da una parte, ci si esercita all’accoglienza e, dall’altra, si sostiene la legalità. Tutte cose che vanno tenute insieme.” Da via Montello, il centinaio o poco più di partecipanti si è incamminato per via Visconti, via Torriani, quindi via Videmari, Don Minzoni e Biraghi per concludere il percorso, con la quattordicesima stazione della Via Crucis, sul sagrato della prepositurale e, infine, entrare in chiesa per la riflessione finale.

Il dramma degli immigrati, l’aiuto di tante persone - “Questa sera mentre abbiamo pregato – ha esordito don Ettore - abbiamo lasciato che anche il nostro cuore fosse toccato dai drammi degli immigrati e abbiamo anche pensato a quanti in questi giorni si danno da fare - dalle forze dell’ordine, ai volontari civili, alle persone di buona volontà - per aiutare queste persone.”


Foto d’archivio (SIR), riproduzione riservata

“Sotto i nostri occhi ci stanno tante situazioni di dolore. L’esperienza degli stranieri – ha aggiunto il prevosto - è quella di fiumi e fiumi di persone che vengono ancora tenuti ai margini delle nostre società. Forse abbiamo negli occhi le più di diecimila persone che in Macedonia stanno tentando di entrare in Europa. Noi speriamo che la situazione si possa risolvere in qualche altro modo, ma con c’è un altro modo per rispondere a queste situazioni. Certamente non lo è quello di innalzare barriere, che possono solo frenare le persone e creare immensi agglomerati di gente, alla ricerca non di una buona sorte, della felicità, ma di una vita normale. Non abbiamo bisogno di luoghi che bloccano, ma piuttosto che accolgano, che permettano l’afflusso, il passaggio, l’accoglienza.”

“Non spetta a noi risolvere i problemi del mondo, ma spetta a noi, innanzitutto, aprire il nostro cuore. Se il nostro cuore esprime disprezzo e timore e non fa altro che diffondere questi sentimenti agli altri, sarà ben difficile costruire una società dell’accoglienza. Se invece iniziamo a ragionare diversamente, permetterà anche a chi ha responsabilità di governo di assumere altre decisioni. Di non fare scelte per cercare consenso, ma semplicemente perchè c’è il bisogno impellente di tante donne e di tanti uomini che chiedono di essere assistiti. In quelle diecimila persone non ci sono tutti terroristi e delinquenti. Ci sono uomini, donne e bambini, la maggior parte è gente normale. Certo ci sarà qualche terrorista e delinquente, come ci sono tra noi.” Quindi l’invito a “chiedere al Signore di allargare il nostro cuore e di non ragionare secondo semplici criteri umani di conservazione di noi stessi.”

“I carcerati spesso non hanno grande attenzione da parte nostra – ha proseguito don Ettore, passando a parlare dell’altra opera di misericordia corporale al centro delle meditazioni della Via Crucis del 4 marzo - perché la nostra impressione è quella che ‘se la sono andata a cercare’.” Il prevosto pur riconoscendo che “è vero che la società deve difendere se stessa, deve difendere i poveri, i piccoli e i deboli” ha invitato a riflettere sul fatto che “noi facciamo fatica a giudicare chi è giusto e chi non lo è”. La sollecitazione di don Ettore è a “imparare da Dio che la vera giustizia non è quella che sa distinguere tra il giusto e il peccatore, ma quella che sa rendere il peccatore giusto, sa giustificare, sa cambiare il cuore delle persone, sa ascoltare.” Ecco allora che “l’esperienza carceraria dovrebbe servire a redimere la vita di chi ha commesso dei reati per essere nuovamente inserito nella società. Se il carcere rinuncia a questo compito, ha fallito la sua missione.”

“Chiediamo al Signore di convertire il nostro cuore a queste opere di misericordia. Noi ce le siamo dimenticante, pensando di non dover chiedere farle diventare motivo di crescita della nostra fede. Invece, non è così! Seguiamo l’esempio di Papa Francesco che parla sempre non di quello che gli altri possono fare ma di quello che io posso fare” per eliminare situazioni di bisogno e di ingiustizia che sono presenti nella nostra società.

Venerdì 11 marzo, quarto venerdì di Quaresima, la Via Crucis partirà dall’ospedale Uboldo verso la chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore, meditando altre due opere di misericordia corporale: visitare gli ammalati e seppellire i morti.

Cernusco sul Naviglio, 7 marzo 2016