«RICONOSCERE IL NOSTRO PECCATO AIUTA A COSTRUIRE RESPONSABILITÀ E FA CRESCERE»

Il cardinale Scola ha guidato, per le vie del centro di Milano, lo scorso 4 marzo, la “Via Misericordiae”, gesto giubilare proposto a tutta la città per non dimenticare chi è in carcere.

«È difficile pregare e credere quando ci si sente abbandonati dall’umanità». Non si può non pensare a queste parole scritte da alcuni detenuti – si legge sul sito web della nostra diocesi - osservando la massa di persone che ha scelto, in una sera ancora pienamente invernale, di camminare dietro la croce, per le vie del centro di Milano, arrivando, appunto, davanti al carcere di San Vittore. E, allora, sono davvero un regalo le tre preghiere – “Cristo, io sono carcerato”, “Non ho altro da offrirti che me stesso”, e “Padre, abbi misericordia”, composte rispettivamente dai carcerati di Opera, di Bollate e di San Vittore –, che vengono offerte a tutti perché si usino come propria invocazione personale e comunitaria.

A tutti i fedeli si rivolge l’intensa parola dell’Arcivescovo che prende avvio proprio dal brano di Luca (la peccatrice che lava i piedi a Gesù nella casa del fariseo). «Chi è questo uomo che perdona? Anche noi dobbiamo porci la questione. Non abbiamo bisogno di questo sguardo? Chi di noi è libero dal peccato, ma soprattutto chi può liberarsi da sé dal peccato?». Una parola, quella di peccato – nota Scola – che pare essere stata eliminata dal nostro vocabolario di autogiustificazione, per cui al massimo, provando un poco di senso di colpa «che è solo l’atrio del dolore dei peccati» «si parla di errore o di svista». Eppure, «questo gesto di stasera parla da solo, per la nostra Milano che di perdono ha bisogno, come tutte le città del mondo».


Cardinale Angelo Scola – Foto archivio SIR, riproduzione riservata

Cita, l’Arcivescovo, i carcerati stessi –, «dobbiamo cercare Gesù, incuranti dei giudizi, sicuri del suo appoggio, forti nella misericordia, ogni volta che incontriamo Gesù nella Messa dobbiamo accettare di sentirci peccatori per sentire la dolcezza del perdono» e osserva: «Cercare il volto di Cristo, sarebbe già un contributo ecclesiale e civico di straordinaria portata».

Riconoscere i nostri errori aiuta a costruire responsabilità verso gli altri e ci offre stimoli per crescere: «Quando prendiamo un momento di respiro dal nostro ritmo di vita indiavolato e ascoltiamo chi è nella giusta espiazione, chi è capace di andare al fondo di sé, domandiamoci se anche noi, nel nostro “autismo” incapace di comunicazione, non siamo “chiusi” e come “pietrificati”»



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Cernusco sul Naviglio, 7 marzo 2016