SCOLA: “DIO DOMANDA SOLO UN UOMO LIBERO, CAPACE DI STUPORE E MERAVIGLIA”
“Apertura allo stupore e alla meraviglia” che “troviamo nei Magi venuti dal lontano Oriente e del tutto estranei al popolo eletto. è completamente assente in Erode, che invece appartiene a questo popolo, ma ha gli occhi accecati dalla brama del potere.” Da Scola anche l’invito alla “vita buona”
«Dio parla al mondo usando il linguaggio dei “segni”. I segni – ha detto l’arcivescovo, cardinale Angelo Scola, nell’omelia della Messa dell’Epifania, lo scorso 6 gennaio, in Duomo - sono una realtà visibile e tangibile e rivelano – in qualche modo anticipandolo – un Oltre, altrettanto reale (ad esempio il segno dell’acqua nel Battesimo). Tre sono i “segni” ricordati dalla festa di oggi: la stella, vale a dire una guida luminosa che Dio non cessa di offrire ad ogni uomo; l’acqua trasformata in vino a Cana, espressione di gioia comune in un banchetto nuziale che tuttavia già allude al sangue che il salvatore verserà; e la persona di Gesù di Nazareth che, mentre riceve il battesimo al Giordano, viene solennemente proclamato Figlio di Dio e quindi radice del nostro essere in Lui figli nel Figlio. È la nuova parentela cristiana.»
«Il “metodo” dei segni è quello scelto da Dio per rivelarsi all’uomo di ogni tempo e luogo. Metodo – ha proseguito l’arcivescovo - che non domanda a noi uomini doti particolari (né di intelligenza, né di ricchezza, né di comportamento). Dio domanda solo un uomo libero, cioè capace di «apertura allo stupore e alla meraviglia» (Laudato si’, 11). La troviamo nei Magi venuti probabilmente dal lontano Oriente e del tutto estranei al popolo eletto. è completamente assente in Erode, che invece appartiene a questo popolo, ma ha gli occhi accecati dalla brama del potere.»
«Il linguaggio dei segni è universale. Lo cogliamo fin da bambini. Nel racconto dei Magi ciò che impressiona non è anzitutto il loro triplice dono – oro per il Re dei re, incenso per il Dio Altissimo e mirra per Colui che è destinato a morire. Ben più impressionante è il loro misterioso venire da lontano, il loro lungo viaggio. Quel viaggio ci fa pensare alla nostra vita di uomini, perché è figura dell’esistenza di ogni uomo ed ogni donna. In questo senso attinge un livello dell’esperienza comune ad ogni uomo ed è una decisiva espressione dell’universalità della festa di oggi. Quanti poeti ed artisti hanno indagato la natura di questo viaggio! E non si riferisce solo al viaggio della nostra esistenza personale fatto di scoperte, di sorprese, di rischi, di incontri favorevoli e sfavorevoli, di gioie e di dolori, ma dice in qualche modo anche la storia di tutta la famiglia umana.»
«Ciascuno di noi e tutta la famiglia umana, inoltrandosi nel nuovo millennio, è posto di fronte ad una improcrastinabile scelta. Quale tipo di viaggio intendiamo fare? Il viaggio dei pellegrini, tutti tesi ad una meta che certo non risparmia contraddizioni, lotte, mali fisici e morali ma che, in qualche modo, li riscatta perché riconosciamo che il Signore Gesù – la meta – ci accompagna, anzi, ci precede sempre sulla via? O il viaggio di turisti svagati o addirittura di vagabondi senza meta, in un mondo vissuto come un grande paese dei balocchi alla ricerca di emozioni sempre nuove, nell’illusione che moltiplicando indefinitamente i piaceri, per loro natura sempre di breve durata si possa alla fine trovare quel gaudio perenne che il nostro cuore si ostina a cercare?»
«Solo se accettiamo di metterci in cammino «da oriente a Gerusalemme» (Vangelo, Mt 2,1) - è la convinzione di Scola - con lo stesso cuore dei Magi, faremo la loro esperienza: “Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima” (Mt 2,10). Quella già annunciata da Isaia per la nuova condizione di Gerusalemme, di cui non a caso dice che sarà meta di pellegrini: “Tutti verranno…uno stuolo di cammelli ti invaderà…” (Lettura Is 60,6).»
L’arcivescovo ha poi invitato a dilatare “il cuore nel segno della conversione giubilare”, rinnegando ”l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”, come suggerito dalla Lettera a Tito (Tt 2,1 2), seconda lettura della Messa dell’Epifania. «Da questo versetto – ha spiegato l’arcivescovo - emerge la piena statura dell’uomo, di un uomo all’altezza della dignità che il Creatore gli ha attribuito facendolo a Sua immagine. Il passaggio della Lettera a Tito può anche essere però letto come solida proposta di vita buona a livello civile. La vita buona è oggi una merce piuttosto rara – ha sottolineato l’arcivescovo, in un successivo passaggio della sua omelia - da acquistare con coraggio ed impegno. Vero e proprio contenuto di educazione civica di cui nel nostro Paese troppo spesso si sente la mancanza. Di più, le parole dell’Epistola possono urgerci a riflettere sull’affaticamento della nostra Europa così come sulla necessità, invocata spesso dall’insegnamento sociale della Chiesa, di un nuovo ordine mondiale. Fattori che ci spingono a lavorare alla promozione di una democrazia sostanziale che poggi su libertà effettivamente realizzate. Fare spazio all’altro, rispettandolo nella sua pari dignità, chiede il sapersi inchinare di fronte a Dio, o almeno ad un senso compiuto del vivere, che affratella la famiglia umana.»
Per approfondire:
- Messa dell’Epifania in Duomo
- Pranzo dell’arcivescovo con i profughi
Cernusco sul Naviglio, 11 gennaio 2016