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QUARESIMA, TEMPO DELLO SPIRITO E DI TENTAZIONE, ESPERIENZA DI DESERTO

“Vivere un’esistenza come quella di Gesù – scrive il prevosto - è il senso ultimo della Quaresima, per vivere realmente questo tempo come un’occasione di conversione e di lotta contro il male. In questo consiste l’ascesi cristiana: non è il rinunciare a qualcosa per il gusto della rinuncia, ma è il rifiuto energico e forte di tutto ciò che ci può allontanare da Dio, anche se buono”

Per tradizione, nella nostra liturgia ambrosiana il brano evangelico che apre il cammino della Quaresima è il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto secondo la versione di Matteo. Già dall’introduzione di questo testo – “Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo” – possiamo comprendere le caratteristiche del tempo che stiamo per vivere.

Quaresima, tempo dello Spirito - La Quaresima, i quaranta giorni che ci preparano alla Pasqua, è, anzitutto, tempo dello Spirito. Come Gesù, a immagine di Israele guidato da Dio verso la piena libertà, è stato condotto dallo Spirito, così il cristiano riconosce nello stesso Spirito la guida per la propria vita.

La Quaresima, poi, è esperienza di deserto. Israele, per ben quarant’anni, è stato condotto da Dio nel deserto, fino a raggiungere la terra della promessa, e nello stesso deserto Gesù vive i quaranta giorni e le quaranta notti che lo preparano ad assumere il suo ministero a servizio degli uomini. Il deserto è luogo di silenzio, di essenzialità, di prova, di verifica, e con questi atteggiamenti siamo anche noi chiamati a vivere la nostra intera esistenza.

Quaresima, tempo di tentazione - Infine, la Quaresima, proprio perché legata alla realtà e alla dimensione del deserto, del silenzio e della prova, è tempo di tentazione. E’ stato così per il popolo di Israele, che, lungo il cammino nel deserto, ha messo alla prova Dio e da Dio è stato messo alla prova. E’ stato così per Gesù, provato in tutto tranne che nel peccato, ed è così per noi, che siamo messi alla prova nella vita. Quali sono le prove e le tentazioni che siamo chiamati ad affrontare ci viene detto dallo stesso evangelista Matteo. Rileggendo le tre tentazioni sperimentate da Gesù, possiamo dire che esse sono anche le nostre, le stesse vissute da Israele e dall’umanità di ogni tempo e di ogni luogo.

La prima tentazione è quella di vivere facendo a meno di Dio. Il tentatore dice a Gesù: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. E’ la tentazione di una vita facile, senza problemi, per non aver bisogno di affidarsi a nessuno. Una vita in cui noi bastiamo a noi stessi e non vogliamo aver alcun intralcio sul nostro cammino. La seconda tentazione, al contrario, è quella di vivere facendo a meno dell’uomo, cioè della nostra libertà e delle nostre responsabilità. Il tentatore – utilizzando una parola della Scrittura (il salmo 91) – propone a Gesù di essere portato in braccio da Dio, così da non dover affrontare la fatica delle proprie scelte e dei propri passi. Da ultimo, la terza tentazione è quella di fare a meno di Dio e dell’uomo, della sua grazia e della nostra libertà, per affidare la riuscita della nostra vita a qualsiasi potere di turno (sia esso la ricchezza, il dominio sugli altri, la rassicurazione delle superstizioni).

A queste tre tentazioni – che sono l’insieme di tutte le tentazioni della vita dell’uomo – Gesù risponde con le parole della Scrittura prese dal libro del Deuteronomio (i capitoli dal 6 all’8), dove si racconta l’esperienza del deserto vissuta da Israele. Gesù afferma la sua fedeltà a Dio, la volontà di assumere le proprie responsabilità, il rifiuto di appoggiarsi a ogni forma di potere che, alla fine, sostituisce Dio e l’uomo. Vivere un’esistenza come quella di Gesù – espressa nella pagina delle tentazioni – è il senso ultimo della Quaresima, per vivere realmente questo tempo come una occasione di conversione (di ritorno al Signore, secondo le parole di Gioele, perché il Signore ritorni a noi) e di lotta contro il male. In questo consiste l’ascesi cristiana: non è il rinunciare a qualcosa per il gusto della rinuncia – o, peggio ancora, per un istinto masochistico a farsi del male – ma è il rifiuto energico e forte di tutto ciò che ci può allontanare da Dio, anche se buono.

Ne è un esempio la testimonianza di Paolo (1Corinti 9,24-27) che, parlando di sé e delle proprie scelte compiute nel ministero, invita i cristiani di Corinto (e anche noi) a vivere la propria fede come un combattimento, una lotta continua. Paolo utilizza proprio delle immagini sportive – le corse allo stadio, il pugilato – per descrivere tutto ciò, e non a caso lo stesso termine “ascesi” viene dal greco àskesis che significa “preparazione”, “esercizio” in vista di una gara, per conseguire la vittoria. La bellezza della vita cristiana – ed è questo l’annuncio evangelico, la buona notizia – sta nel fatto che mentre alle corse allo stadio, nel pugilato o in qualsiasi altra gara, alla fine il vincitore è uno solo, qui a tutti è data la gioia della vittoria. Non solo: mentre quelli si affaticano per una corona che appassisce, la vittoria cristiana consegna una corona che dura per sempre e che non viene mai meno. Se questo è, dunque, il traguardo della vita cristiana, perché non provare, anche dovendo affrontare la fatica? Nella vita ci diamo da fare per molto meno e fatichiamo per cose che lasciano il tempo che trovano. Perché non decidere di faticare per Dio? Facendolo, vedremmo anche noi di essere serviti dagli angeli, come Gesù.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret

Letture della Domenica all’inizio di Quaresima – I di Quaresima: Gioele 2,12b-18; 1Corinti 9,24-27; Matteo 4,1-11

Cernusco sul Naviglio, 14 febbraio 2016