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IMPARIAMO ANCHE NOI A INTERCEDERE PER TUTTI GLI UOMINI

“Come Maria – scrive il prevosto - impariamo anche noi a intercedere per tutti gli uomini, specialmente per chi vive il dramma della povertà, perché arrivino a conoscere Cristo e a fidarsi di lui, testimoniando nella vita la gioia del Vangelo.”

In questa domenica (17 gennaio, ndr) celebriamo la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato e, allo stesso tempo, la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano.

Sul tema dell’immigrazione dobbiamo ammettere che il comportamento dell’Europa è profondamente ipocrita. Non avendo alcuna politica a lungo termine per affrontare gli eventi drammatici che stanno muovendo fiumi di persone, ci si è limitati a offrire ospitalità a chi è rifugiato politico e fugge dal proprio paese a motivo delle guerre, mentre è stato escluso il semplice migrante che lascia la propria terra per fame e per povertà, quasi che queste non portino ugualmente alla morte. Come ci ricorda il Papa nel suo messaggio per questa Giornata, abbiamo bisogno di lasciarci interpellare da questa realtà che è diventata ormai strutturale. Dovremmo affrontare con più decisione proprio il dramma della fame, della povertà e della guerra, soprattutto con il cambiamento del nostro stile di vita che le produce e contrastando ogni vendita di armi in questi Paesi.

Circa la Giornata dell’ebraismo, invece, siamo invitati a riscoprire le radici ebraiche della nostra fede per viverla con più coerenza al Vangelo e alla storia della salvezza. In entrambi i casi ci può essere di aiuto rileggere i passi della Scrittura di questa II domenica dopo l’Epifania. Nella IV e nella V strofa dell’inno dei vesperi dell’Epifania, sant’Ambrogio accenna al segno delle nozze di Cana: “È giorno di nozze a Cana: per tuo sorprendente miracolo il servo dall’idrie ricolme attinge il vino e stupisce. Ebbrezza tu doni agli sposi, letizia al banchetto festoso: col primo tuo segno di grazia annunci l’amore che salva”. Siamo dunque di fronte a una terza “manifestazione” di Gesù, dopo quella fatta ai Magi e al Giordano.

La liturgia di oggi, però, accostando il racconto di Cana a una pagina del libro di Ester, ci invita a mettere al centro della nostra attenzione la figura di Maria e la preghiera di intercessione che ella rivolge a Gesù. Come Ester, durante un banchetto, intercede presso il re di Persia perché il suo popolo, Israele, venga salvato da una strage imminente, così Maria, durante un banchetto di nozze, intercede presso il suo Figlio Gesù, perché sia lui a riportare la vera gioia là dove questa, per l’assenza di vino, è venuta a mancare. Nel testo – come in tutto il vangelo di Giovanni – Maria non viene mai chiamata per nome, ma viene sempre indicata con l’appellativo “la madre di Gesù”, quasi a dare rilievo al vero motivo per cui è importante. Avendo in sé la gioia, cioè Gesù, Maria è la prima che ne avverte la mancanza alle nozze di Cana e interviene presso suo Figlio, chiedendo a quanti stanno attorno di confidare solo in lui: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”.

Maria e Gesù, ciò che rimane della famiglia di Nazaret dopo la morte di Giuseppe, ci aiutano a vivere l’evento della migrazione perché loro per primi appartengono al popolo dell’alleanza, a quell’Israele di Dio che riconosce di avere per padre “un Arameo errante”, come proclama nella sua professione di fede (cfr. Deuteronomio 26,5). Non solo: proprio la figura di Maria, “la madre di Gesù”, appartenente al popolo ebraico, da cui è nato il Messia, ci può essere di aiuto a comprendere meglio le relazioni tra ebrei e cristiani, invitandoci a una conoscenza più vera e profonda dell’ebraismo e favorendo così la crescita di un amore sincero verso il popolo ebraico.

Dal 1990 la Chiesa italiana ha istituito e posto la Giornata nazionale per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano, in questo giorno, il 17 gennaio, quasi a introduzione all’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani, che si celebra dal 18 al 25 gennaio, dando così sviluppo a una affermazione di un teologo svizzero, Karl Barth, che agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso diceva: “Esiste, in ultima analisi, un solo grande problema ecumenico: quello delle nostre relazioni con il popolo ebraico”. Come ha sottolineato anche il Sinodo 47° della Diocesi di Milano (1995), “la relazione della comunità cristiana con il popolo ebraico appartiene alla struttura stessa della fede che si fonda sulla rivelazione biblica” e i pastori sono chiamati a educare le comunità cristiane “a riconoscere il ruolo singolare di Israele nella storia della salvezza e a non intendere la Chiesa in termini sostitutivi o antitetici al popolo ebraico” (cost. 309.1,2).

San Paolo, nel passo della sua lettera alla chiesa di Efeso, ha affermato con forza che la nostra salvezza, così come quella di tutta l’umanità, viene solo da Cristo. Parlando della propria esperienza, l’apostolo Paolo ci ha detto: “In lui siamo stati fatti eredi, predestinandoci – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi (cioè il popolo ebraico), che già prima abbiamo sperato nel Cristo”. E poi ha aggiunto: “In lui anche voi (cioè i pagani, noi stessi), dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, e avere in esso creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità”.

In altre parole: a Israele è stato fatto dono di essere il primo destinatario dell’azione di salvezza di Dio. Israele è il popolo primogenito di quella alleanza “che Dio non ha mai revocato”, secondo l’espressione pronunciata da papa Giovanni Paolo II, oggi santo, il 17 novembre 1980 nella sinagoga di Mainz. La Chiesa, dunque, non si sostituisce a Israele e tanto meno lo contrasta. Manifesta, invece, il compimento di questa iniziativa di Dio di stringere un patto di amicizia e di affetto con tutta l’umanità, partendo dall’elezione e dalla scelta di Israele.

Maria, che appartiene a questo popolo, così come vi appartiene Gesù – e del resto l’apostolo Paolo e tutta la comunità cristiana delle origini – è colei che per prima si accorge che l’alleanza nuziale di Dio con l’umanità ha bisogno di essere portata al suo compimento e, proprio per questo motivo, si rivolge a Gesù, conducendo tutti gli uomini a lui, la sorgente della gioia. E Gesù, guardando a sua madre ai piedi della croce, nel momento della sua ora, questa volta giunta in modo definitivo, la renderà immagine della Chiesa, che è la piena realizzazione del disegno di Dio sull’umanità. Come Maria, impariamo anche noi a intercedere per tutti gli uomini, specialmente per chi vive il dramma della povertà, perché arrivino a conoscere Cristo e a fidarsi di lui, testimoniando nella vita la gioia del Vangelo.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret

Letture della II domenica dopo l’Epifania: Ester 5,1-1c.2-5; Efesini 1,3-14; Giovanni 2,1-11.

Cernusco sul Naviglio, 17 gennaio 2016