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Giovedì 18 Aprile

“NON PERDIAMO L’OCCASIONE DELL’INCONTRO CON GESÙ”

«Il rischio, infatti, è quello di non accorgerci della sua venuta nel nostro quotidiano, proprio perché “al momento presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa”»


C’è un’espressione nella pagina evangelica di Luca (19,28-38) che riassume in poche parole tutta la vita di Gesù e il mistero della sua persona: “Il Signore Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme”. La vita di Gesù è tutta qui: un cammino ininterrotto verso la Pasqua, verso il dono totale di sé e della propria vita. E in questa marcia travolgente, Gesù “cammina davanti a tutti”, coinvolge ciascuno di noi, non ci lascia inerti. Non possiamo dirci cristiani ed esserlo realmente se non ci lasciamo coinvolgere da questo cammino di Gesù, che ci viene incontro – così è acclamato al termine del vangelo: “Benedetto colui che viene” – e che ci trascina con sé verso la città della Pasqua. Ecco perché la nostra liturgia ambrosiana, nella quarta domenica di Avvento, ci presenta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, quale immagine che descrive bene, nel modo migliore, “la venuta del Messia”.

A noi che siamo portati a chiedere al Signore “quando” verrà e “dove” verrà, nel timore di non saperlo scorgere o di rimanere schiacciati dalla sua venuta, Gesù mostra, invece, “come” verrà: nello stesso modo con cui ha fatto il suo ingresso nella città santa, in quella Gerusalemme terrena dove ha consegnato tutta la propria vita nelle mani degli uomini, dopo essersi consegnato totalmente nelle mani del Padre.

Se è vero che il Signore Gesù viene per sottomettere a sé tutte le cose, come ci ha ricordato l’autore della lettera agli Ebrei, è altrettanto vero che questa sottomissione non la attua secondo i nostri schemi e le nostre attese. Gesù non ha voluto fare sfoggio di potenza e di gloria, ma si è lui stesso sottomesso alla nostra esistenza di morte, perché la morte potesse essere sconfitta con il dono della sua vita. È solo attraverso il gesto della condivisione che Gesù mostra di sottomettere a sé tutte le cose e la nostra umanità, cambiandola radicalmente e vincendo così ogni paura, persino quella della morte.

Anche nella pagina del profeta Isaia, il Signore ci viene presentato come colui che protegge il suo popolo: sarà “una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte”, come già lo era stato durante l’esperienza dell’Esodo, quando aveva protetto il suo popolo nel cammino lungo il deserto, verso la terra della promessa.

Gesù, con la sua venuta, non fa altro che manifestare questa azione protettrice di Dio nei nostri riguardi, e il suo ingresso in Gerusalemme lo dimostra. Da una parte Gesù si rivela come colui che pronuncia una parola potente e non è vittima delle circostanze: sa ciò che sta per accadere alla sua persona e comanda ai suoi discepoli di compiere determinati gesti, definendo se stesso come “il Signore”. Dall’altra, Gesù si rivela anche come colui che, pur essendo “il Signore”, ha bisogno della collaborazione e della disponibilità di cuore degli uomini, perché il suo disegno di salvezza possa compiersi e portare i suoi frutti.

Questo modo di agire di Gesù, il “come” del suo ingresso nella nostra vita, chiede di essere compreso e decifrato, per non perdere l’occasione dell’incontro con lui. Il rischio, infatti, è quello di non accorgerci della sua venuta nel nostro quotidiano, proprio perché – come dice l’autore della lettera agli Ebrei – “al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa”.

Gesù, invece, è accanto a noi e condivide fino all’estremo la nostra condizione umana, persino nella morte – come avviene in ogni Eucaristia – rendendo questo atto non una sconfitta o una perdita, ma il luogo della sua piena disponibilità a rendere nuova la nostra esistenza. Tra poco, quel Gesù che ha fatto il suo ingresso come Messia nella città santa, donando tutto se stesso al Padre e agli uomini, e che tornerà alla fine dei tempi, come il Signore della gloria, vincitore anche sulla nostra stessa morte, è lo stesso Gesù che si rende presente tra noi nei segni di un pane spezzato e di un vino versato, cioè di una vita condivisa e offerta a tutti e, in modo del tutto speciale, agli ultimi, ai piccoli e ai poveri. Per questo non ha alcun senso gridare perché le nostre tradizioni cristiane e i simboli che le rappresentano siano salvaguardate, mantenute e – giustamente – rispettate da tutti, se poi non ci aiutano a vivere una esistenza come quella di Gesù, facendoci carico di chi ci sta accanto, da veri discepoli.

Contemplando la venuta del Messia, domandiamo di non sottrarci al compito della sequela, ma di essere tra coloro che, con Gesù, camminano verso Gerusalemme, la città della Pasqua, disponibili al dono totale di sé per gli altri.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Letture della IV Domenica d’Avvento: Isaia 4,2-5, Ebrei 2,5-15; Luca 19,28-38

Cernusco sul Naviglio, 6 dicembre 2015