“LA GRAZIA DI DIO RAGGIUNGE IL CUORE DI OGNI UOMO”

“Ogni uomo – ha detto il Prevosto - deve poter avvertire di essere amato da Dio e compito nostro è proprio quello di poterlo annunciare a tutti, facendo poi un passo indietro e riconoscendo che il Regno di Dio sta più in là di noi stessi e dei nostri progetti”

“Celebriamo l’apostolo Giovanni che nella cena posò il capo sul petto del Signore; conobbe i segreti del cielo e diffuse nel mondo intero le parole della vita”. Così ci viene presentata nel canto “all’ingresso” della Messa la figura di san Giovanni, apostolo ed evangelista, che la liturgia ambrosiana celebra sempre nel III giorno dell’Ottava del Natale, anche quando cade di domenica, come quest’anno, visto il suo stretto legame con il Signore. Se il diacono Stefano, primo discepolo di Gesù, è per eccellenza il testimone della fede, l’apostolo Giovanni è “il discepolo che Gesù amava”, come è ricordato più volte nel quarto vangelo, a lui attribuito: è “il discepolo amato”.

Ci allarga il cuore pensare che, accanto al dono della fede e della testimonianza cristiana, ciò che più conta è l’esercizio della carità. E non tanto la nostra carità verso i fratelli o il nostro amore verso Gesù, quanto piuttosto la carità e l’amore che Gesù ha verso ciascuno di noi. Il Natale, infatti, ci rivela l’amore di Dio per noi, prima ancora di domandarci di fare qualcosa per Lui. Giovanni ha potuto comprendere a fondo il mistero di Dio perché si è lasciato anzitutto amare da Lui, dal Signore. Ha “veduto” e “udito” il Verbo della vita perché si è prima lasciato raggiungere dalla parola che salva e si è lasciato toccare dal Dio fatto bambino e divenuto uomo per noi. Per questo è “il discepolo amato” e il testimone della carità di Dio per noi.

Secondo le parole di Paolo, Giovanni ha proclamato con la sua bocca che “Gesù è il Signore!” – come attesta la bellezza e la profondità del suo vangelo – e ha creduto con il cuore per ottenere la giustizia di Dio, al punto da posare il suo capo sul cuore di Cristo. Giovanni è “quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?»”. Questa intimità con il Signore Gesù gli ha permesso di ricevere un altro titolo particolare, descritto dalle parole con cui il Risorto risponde alla domanda di Pietro: “Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi”. Giovanni è “il discepolo che rimane”.

Questa affermazione così enigmatica è stata fraintesa dalla Chiesa primitiva che favorì – come capita spesso – una diceria: “si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe mai morto”. Probabilmente la lunghissima età raggiunta dal discepolo amato – la tradizione parla di circa cento anni – ha favorito questa diceria, così come la sua morte ha messo poi in imbarazzo tutti i suoi seguaci. Da qui la necessità di riportare nel quarto vangelo quella che possiamo definire una prima “precisazione stampa”, a cui ne sarebbero seguite molte altre nella storia della Chiesa: “Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe mai morto”, ma solo “se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?”.

E questa parola del Signore rivolta a Pietro vale per tutta la Chiesa e vale anche per noi oggi.

È l’invito a non racchiudere i confini della grazia di Dio nel solo campo dell’istituzione e nella correttezza della fede e della adesione cristiana. Se è vero che nella Chiesa la figura e la persona di Pietro è necessaria e insostituibile, perché esprime al meglio la sequela del Signore – è il comando che ha ricevuto: “Tu seguimi!” – è altrettanto vero che c’è un discepolo che rimane e che la grazia di Dio va ben oltre ogni forma istituzionale, perché raggiunge il cuore di ogni uomo, con il dono della carità.

Ogni uomo deve poter avvertire di essere amato da Dio – come lo è stato “il discepolo amato” – e compito nostro, della Chiesa istituzionale, è proprio quello di poterlo annunciare a tutti, facendo poi un passo indietro e riconoscendo che il Regno di Dio sta più in là di noi stessi e non può essere appiattito sui nostri progetti. L’amore di Dio ci previene sempre: Dio ci ama per primo, ama per primo ogni uomo che nasce sulla terra, e lo fa sempre, non una volta sola. Lui è l’amore che rimane.

È questa “intelligenza che penetra la parola di vita” che ci comunica l’apostolo ed evangelista Giovanni, dando anche a noi la possibilità di riconoscerci amati e cercati da Gesù, sempre, come lo è stato lui. Se non abbiamo la capacità di tenere aperti gli orizzonti della salvezza e della nostra fede, allora corriamo il rischio di sentire rivolgere anche a noi quella parola che il quarto vangelo riporta come l’ultima detta da Gesù a Pietro: “A te che importa?”. Da Giovanni, il discepolo amato, invochiamo questa grandezza di cuore e l’apertura del nostro animo alla misericordia di Dio, che rimane per sempre. Solo così eviteremo di essere rimproverati da Gesù e parteciperemo, invece, alla pienezza della sua gioia che, proprio per essere tale, non può escludere nessuno, ma tutti rende partecipi del Verbo della vita.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret

Letture della Festa di San Giovanni apostolo ed evangelista: 1 Giovanni 1,1-10; Romani 10,8c-15; Giovanni 21,19c-24

Cernusco sul Naviglio, 27 dicembre 2015