Venerdì 29 Marzo

CREDITO COOPERATIVO, VARATA LA RIFORMA. INTERESSA ANCHE LA BCC CERNUSCO

Dopo ripetuti rinvii, finalmente nella tarda serata dello scorso 10 febbraio, il governo ha approvato il progetto di riforma delle Banche del Credito Cooperativo. Introdotto l’obbligo per le Bcc di aderire ad un gruppo bancario cooperativo con un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro. La riforma interessa anche la BCC Cernusco: abbiamo raccolto le prime considerazioni del presidente Enio Sirtori e del vicepresidente Maurizio Comi.

Un milione e duecentomila soci, 364 piccoli e medi istituti di credito riuniti in una struttura federale di rappresentanza – Federcasse - oltre a una decina rimasti autonomi, 4.450 sportelli in 2.697 comuni italiani, per un totale di 37mila dipendenti: questa è la fotografia odierna del “sistema Bcc” fatta negli scorsi giorni dall’Agenzia SIR, dalla quale abbiamo tratto le nostre informazioni. Queste piccole “banche del territorio”, nate spesso su ispirazione di preti illuminati, di artigiani, commercianti e agricoltori desiderosi di avere un proprio istituto che li sostenesse con piccoli prestiti, necessari per poter sviluppare il proprio “business”; sostenute da figure di avvocati, professionisti e politici consapevoli dell’importanza di un credito che fosse vicino alle vere esigenze del primitivo ceto medio produttivo, sono oggi risucchiate nel ciclone finanziario e normativo che sta investendo le economie industriali avanzate di mezzo mondo. Le Bcc non sono quotate, perché come società cooperative mantengono un azionariato diffuso e basato sul principio “una testa un voto”, indipendentemente dal numero di azioni possedute. Ma proprio per questo, alla luce dei tracolli bancari avvenuti in Italia in questi ultimi tempi anche le banche di credito cooperative sono state coinvolte e “costrette”, dalle norme comunitarie e dalla volontà dell’esecutivo italiano, a rivedere completamente il proprio assetto sistemico.


La sede della BCC Cernusco in piazza Unità d’Italia

Un sistema solido con qualche “crepa”. In termini finanziari, il sistema Bcc è piuttosto robusto: la raccolta complessiva ammonta a oltre 160 miliardi e gli impieghi toccano i 150 miliardi. Gli utili non sono molto elevati, anche perché per statuto le Bcc devono accantonare a riserva almeno il 70% dei proventi finali. Anche per questo motivo il patrimonio di sistema è quanto mai elevato, pensando che deriva da banche molto piccole, alcune piccolissime: si tratta di 20,5 miliardi di euro, una dotazione che finora ha consentito che nessuna Bcc fallisse.

Le attuali capogruppo territoriali o di servizio che fanno parte del credito cooperativo (banche Raiffeisen in Alto Adige, Cassa Centrale Banca, Casse Rurali Trentine, Iccrea) possono contare su ben tre fondi di garanzia interni, che al caso intervengono con decisione (Fondo di Garanzia Istituzionale, del Fondo di Garanzia dei Depositanti e del Fondo di Garanzia Obbligazionisti). Le Bcc quindi, in caso di crisi di una singola banca, non ne scaricano le conseguenze sue clienti.

Autoriforma per mantenere la “reputazione”. In questi anni di crisi, anche le Bcc hanno visto aumentare le sofferenze, passate dal 2011 ad oggi dal 4 al 9% dei crediti erogati. I crediti deteriorati sono schizzati dal 10,4 al 18% e la reputazione delle Bcc, finora mantenuta al “top”, rischiava di franare sotto i colpi delle chiusure di artigiani, commercianti e piccolo professionisti messi al tappeto dalla recessione. Così è accaduto che da un lato il sistema Bcc ha avvertito l’esigenza di “autoriformarsi” per non rimanere schiacciato sotto la cattiva reputazione che stava investendo il mondo bancario in genere. E dall’altro che il governo Renzi, nella sua fretta di riformare il riformabile, abbia premuto fortemente per modificare anche questa realtà, ritenuta troppo piccola e frammentata.


Enio Sirtori, presidente BCC Cernusco e Maurizio Comi, vicepresidente

La riforma approvata dal consiglio dei ministri – Dopo ripetuti rinvii, finalmente nella tarda serata dello scorso 10 febbraio, il governo ha approvato il progetto di riforma delle Banche del Credito Cooperativo. Al momento, in attesa che sia reso noto il testo del decreto legge, sono state diffuse da Palazzo Chigi – come pubblicato da Italia Oggi – solo le linee guida dell’intervento riformatore. Che prevedono: confermare il ruolo delle BCC come banche cooperative delle comunità e dei territori; migliorare la qualità della governance e semplificare l’organizzazione interna; assicurare una più efficiente allocazione delle risorse all’interno del sistema; consentire il tempestivo reperimento di capitale in caso di tensioni patrimoniali, anche attraverso l’accesso di capitali esterni al mondo cooperativo; garantire l’unità del sistema per accrescere la competitività e la stabilità nel medio-lungo periodo.

La riforma del settore del credito cooperativo prevede – come riferisce ancora Italia Oggi – in particolare: obbligo per le Bcc di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro. L’adesione ad un gruppo bancario è la condizione per il rilascio, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo. La Bcc che non intende aderire ad un gruppo bancario, può farlo a condizione che abbia riserve di una entità consistente (almeno 200 milioni) e versi un’imposta straordinaria del 20 per cento sulle stesse riserve. Non può però continuare ad operare come banca di credito cooperativo e deve deliberare la sua trasformazione in spa. In alternativa è prevista la liquidazione.

La società capogruppo - secondo quanto previsto dalla riforma - svolge attività di direzione e di coordinamento sulle Bcc in base ad accordi contrattuali chiamati ‘’contratti di coesione’’. Il contratto di coesione indica disciplina e poteri della capogruppo sulla singola banca. I poteri saranno più o meno stringenti a seconda del grado di rischiosità della singola banca misurato sulla base di parametri oggettivamente individuati. La maggioranza del capitale della capogruppo è detenuto dalle Bcc del gruppo. Il resto del capitale potrà essere detenuto da soggetti omologhi (gruppi cooperativi bancari europei, fondazioni) o destinato al mercato dei capitali.

Al fine di favorire la patrimonializzazione delle singole BCC la riforma eleva il limite massimo dell’investimento in azioni di una banca di credito cooperativo e il numero minimo dei soci. Ci sarà tempo 18 mesi, dall’entrata in vigore della legge, per individuare la società capogruppo. Mentre sono previsti 60 mesi per l’adeguamento, da parte delle Bcc, al nuovo numero minimo di soci.

Il presidente della BCC Cernusco, Enio Sirtori – da noi interpellato – ritiene al momento prematuro formulare un giudizio complessivo sulla riforma. Si limita ad esprime solo la “soddisfazione per un’unica capogruppo" prevista dalla riforma, accompagnata però dalla "delusione per l’ammessa possibilità di trasformarsi in spa per le BCC più grandi". Con riferimento a questa possibilità di trasformazione, per il vicepresidente del Credicoop cittadino, Maurizio Comi, la riforma sarà l’occasione per verificare quanto siano importanti oppure no, per le BCC di maggiori dimensioni, il principio della mutualità e i valori del credito cooperativo.

Cernusco sul Naviglio, 11 febbraio 2016