“NON C’È NIENTE DI PIÙ INSIGNIFICANTE DI UN CRISTIANO TRISTE E SFIDUCIATO”

“Oggi viviamo in un mondo e in una società dove spesso le tenebre sembrano avere il sopravvento. Basta girarci attorno – scrive il prevosto - per avere ogni sorta di notizia disarmante. Ma, come cristiani, proprio grazie al dono del Battesimo, portiamo in noi i semi della speranza.”

Più volte abbiamo ricordato in queste domeniche di Quaresima che l’itinerario proposto dalla liturgia è funzionale a chi deve ricevere il Battesimo nella prossima Pasqua ed è un invito a riscoprire il nostro Battesimo, nel caso in cui lo abbiamo già ricevuto da tempo. Le letture scelte dalla liturgia di questa Quarta domenica di Quaresima ce lo dimostrano in modo evidente, non solo attraverso la figura del “Cieco nato”, ma anche nel racconto dell’Esodo e nell’esortazione di san Paolo.

“Nel mendicante guarito – leggiamo nel testo del prefazio della Messa di questa domenica – è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata”. E, infatti, nel vangelo di Giovanni, è lo stesso cieco che ci presenta queste due situazioni contrapposte. Interrogato dai farisei sulla persona di Gesù, risponde: “Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. E ciò che ha reso possibile questo cambiamento nella sua vita è l’essersi lavato nella piscina di Siloe, secondo il comando di Gesù: “L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: ‘Va’ a Siloe e lavati!’. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista”. Un chiaro richiamo al battesimo, se, per di più consideriamo – come sottolinea Giovanni – che “Siloe significa Inviato”. Questo cieco ha immerso la sua vita in quella di Cristo, l’Inviato di Dio, e la sua vita è stata trasformata.

Anche la prima lettura insiste su questa sottolineatura battesimale, attraverso il racconto di Massa e Meriba, dove Dio, per mezzo di Mosè, ridà vita e speranza al suo popolo, facendo scaturire dell’acqua dalla roccia, e lo rende vittorioso contro i nemici in battaglia. Mosè, figura e anticipo del Messia, dona l’acqua della vita e conduce alla vittoria sul peccato.

Nella stessa direzione va la riflessione dell’apostolo Paolo che, rivolgendosi ai cristiani di Tessalonica, scrive: “Siete tutti figli della luce e del giorno”. E aggiunge; “Noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre”. Anche qui è avvenuto un passaggio dalle tenebre alla luce. Non a caso i neo-battezzati, nella Chiesa antica, venivano chiamati gli “illuminati” e, ancora oggi, a chi diventa cristiano, si consegna un cero acceso, simbolo del Cristo risorto che deve continuare ad illuminare tutta la loro vita, perché la loro salvezza – specifica ancora Paolo – è stata ottenuta “per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.

Attraverso queste pagine della Scrittura la liturgia ci aiuta a comprendere la visione cristiana della vita. Ogni uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, in realtà si trova a nascere in una condizione deformata, a causa di quel peccato, di quella mancanza di fiducia in Dio, che sta all’origine dell’umanità e che si ripercuote su tutta la sua storia. La mormorazione di Israele nel deserto ne è un segno evidente, così come lo è l’icona del cieco dalla nascita nel vangelo di Giovanni. E’ l’azione di Dio che ci rende uomini nuovi e ci riporta alla dignità originaria, riplasmando la sua immagine in noi. A questo richiama il gesto di Gesù che, sputando per terra, fa del fango con la saliva e lo spalma sugli occhi del cieco. E’ l’atto di una nuova creazione, che ci riporta alla bellezza delle origini. Ciascuno di noi – a causa del peccato che condivide con tutti gli uomini, fin dall’inizio – è destinato a nascere cieco, a non vedere il senso della vita, e può riacquistare la vista solo se si incontra con Gesù, se rispecchia il proprio volto nel suo, che è l’immagine dell’uomo vero, e si lascia raggiungere da lui. Certo, secondo le parole dell’apostolo Paolo, purtroppo anche dopo il dono del battesimo si può sperimentare la contraddizione della vita umana, quando la stessa esistenza cristiana può essere “addormentata”, e ritorna così nell’oscurità del sonno e delle tenebre. Da qui, allora, l’invito a mantenersi vigilanti e a portare a termine quella sequela di Gesù che sola garantisce la propria riuscita. “Chi segue me, avrà la luce della vita”, dice il Signore.

Oggi viviamo in un mondo e in una società dove spesso le tenebre sembrano avere il sopravvento. Basta girarci attorno per avere ogni sorta di notizia disarmante. Ma, come cristiani, proprio grazie al dono del Battesimo, portiamo in noi i semi della speranza. Dio ci ha fatto dono della sua vista, di guardare il mondo dalla sua prospettiva – non semplicemente dalla nostra – ed è certo migliore. Come cristiani, non dovrebbe mai appartenerci quello spirito di mormorazione che faceva camminare a fatica e come a tentoni Israele nel deserto. Siamo stati illuminati da Cristo, l’Inviato di Dio, a rivelare agli uomini il vero volto della nostra umanità. Per questo anche i nostri volti dovrebbero risplendere di lui, soprattutto dopo l’incontro con la sua Parola e con l’Eucaristia. Il vero dramma, purtroppo, è che ciò non avviene e non c’è niente di più triste e insignificante di un cristiano triste e sfiduciato. Domandiamo al Signore la sua gioia, ed egli ci illuminerà di nuovo.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Letture della IV Domenica di Quaresima – “del Cieco”: Esodo 17,1-17; 1Tessalonicesi 5,1-11;

Giovanni 9,1-38b; per leggere i testi delle Letture, cliccare qui .

Cernusco sul Naviglio, 6 marzo 2016