EUTANASIA: ALCUNE RIFLESSIONI

In questi giorni il dibattito pubblico del nostro Paese si sta concentrando sull’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento nuovi diritti civili. Questi potranno incidere su alcune tematiche eticamente sensibili e socialmente fondamentali: famiglia e fine vita. Nel mare aperto delle opinioni, occorre ritrovare la bussola della retta ragione e del bene comune, per evitare di lasciarci trasportare passivamente dalla corrente del pensiero dominante o dalle onde delle credenze personali. Purificati così da ogni soggettivismo, potremo dialogare in modo costruttivo e camminare insieme verso una società più giusta, più a misura di uomo, da lasciare ai nostri figli.

Una riflessione pratica sull'eutanasia:

Uno dei temi di maggiore attualità nel dibattito sui diritti civili é l'eutanasia.
Il termine deriva dal greco eu-thanasía, dove "eu" significa "buona" e "thanatos" "morte": già nella radice della parola si annida dunque un giudizio positivo sulla condotta di chi causi la morte di un uomo, affetto da patologia inguaribile, con il consenso suo o di chi lo rappresenta.

In qualunque modo la si ponga, l'eutanasia è un tema ad alta sensibilità etica e sociale, come tutte le questioni di fine vita, ed ha ricadute immediate sul singolo malato. Per questo motivo, alcuni si chiedono come mai non spetti direttamente al sofferente decidere della propria morte: in fondo sarebbe soltanto un fatto privato. Gli stessi avvertono infatti come contraria alla propria dignità un'esistenza passata in un'agonia senza fine e rivendicano il diritto di congedarsi dalla vita quando il dolore diventi intollerabile.

Ma è veramente così? La mia eutanasia è veramente un fatto privato che non ha ricadute sulla vita degli altri? Il dolore rende davvero indegna la vita? Qual è la soglia di tollerabilità del dolore, oltre cui la vita non merita più?

Sorprendentemente non parliamo soltanto di infermi in un letto d'ospedale, come il francese Vincent Lambert o l'italiano Fabiano Antoniani (Dj Fabo): parliamo soprattutto di persone fragili e minori, come la 17enne olandese Noa Pothoven, che ricorse all'eutanasia per una fortissima depressione, e parliamo persino di infanti come gli inglesi Charlie Gard, Alfie Evans e Tafida Raqeeb, quest'ultima ancora in lotta per la vita.

La tua morte non sarà mai un fatto esclusivamente privato, dal momento che la tua vita non è rimasta isolata, ma è consistita in una rete di relazioni sociali fin dalla nascita (forse fin dal grembo materno), la tua personalità si è scolpita nel corso degli anni in rapporto ai genitori ed agli altri, il giudizio sulle tue azioni si è formato in dialogo con loro e l'immagine che hai di te stesso si è definita col contributo di amici e colleghi. Non è peraltro vero che l’eutanasia sia solo un fatto privato, perché laddove si attribuisce il diritto di morire al malato si crea anche il dovere del sanitario di procurare la morte. Si soffoca così ogni solidarietà e l’amore per il prossimo. Il comandamento di “Non Uccidere” non è dunque più inderogabile ed universale, ma può persino essere capovolto. Se lo Stato obbliga i medici a sopprimere su base volontaria i malati terminali, che cosa gli impedirà in futuro di fare lo stesso anche verso i sani che volessero morire? Che cosa gli impedirà in futuro di fissare con legge un’età massima od una malattia, oltre cui praticare l’eutanasia? La “buona morte” non verrà scelta da tutti i malati, ma ha il sicuro effetto di danneggiare la vita di tutti.    R.D.

Nei prossimi giorni pubblicheremo "Una riflessione cristiana sull’eutanasia" e "Brevi note sul diritto all’eutanasia in Italia".