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Martedì 16 Aprile

“NON DISPERARE DELLA SALVEZZA, NON PRESUMERE DI SE STESSI”

Domenica 23 luglio - “Scegliere di mettersi all’ultimo posto – commenta il prevosto - come servi di tutti, come ha fatto Gesù per poter ricevere da Dio il dono della sua grazia”

Il racconto della storia della salvezza, che stiamo ascoltando in queste domeniche dopo Pentecoste – così come è descritto nelle pagine del Primo Testamento – ci mette di fronte quest’oggi alla figura di Giosuè e alla conquista della Terra Promessa.

Il testo di questa domenica ci chiarisce che l’ingresso nella terra della promessa non è stato il frutto di una conquista militare da parte di Israele, ma piuttosto il dono gratuito di Dio a favore del suo popolo. Tutto questo viene descritto con un gesto simbolico che diventa un vero e proprio atto liturgico. Giosuè riferisce al popolo, per comando di Dio, di prendere dodici pietre dal letto del fiume Giordano e di innalzarle nel luogo dove per la prima volta Israele pernotterà, finalmente libero, nella terra che Dio ha dato ai padri. Altre dodici pietre vengono poi erette da Giosuè di mezzo al Giordano, nel luogo dove poggiavano i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca dell’alleanza, quasi a dire, ancora una volta: è Dio che ha fatto tutto questo, non noi. E anche la risposta da dare ai figli che, un domani, chiederanno il significato di queste pietre, va nella stessa direzione: “Le acque del Giordano si divisero dinanzi all’arca dell’alleanza del Signore. Quando essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano si divisero. Queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre”. Dunque, è Dio che è entrato per primo nella terra della promessa e, al suo seguito, tutto Israele. Detto in altre parole: l’ingresso nel regno dei cieli – il dono della salvezza – non dipende dalle nostre capacità, ma è anzitutto dono di Dio, ed è un dono offerto a tutti.

Sono le due pagine del Nuovo Testamento che ci aiutano a rileggere in questa direzione l’avvenimento della Prima Alleanza. San Paolo, scrivendo la sua lettera ai Romani, afferma con forza e con chiarezza che Dio è Dio di tutti, non solo dei Giudei – cioè di Israele, del popolo primogenito della alleanza – ma anche delle genti, di tutte quelle nazioni che non appartengono a Israele, e tra queste siamo anche noi. E a chi lo accusa di annullare in questo modo la Legge – solo nella osservanza della Legge si può ottenere la salvezza – Paolo stesso ribadisce che anche la Legge è un dono e viene così confermata l’azione di Dio a favore di tutti.

Anche Gesù, nella pagina evangelica, afferma la stessa cosa. A chi gli chiede se sono molti quelli che si salvano, Gesù risponde precisando quali sono le condizioni per raggiungere la salvezza. Non è tanto importante interrogarsi sul numero – sono pochi o sono tanti quelli che si salvano – ma piuttosto convertire il proprio cuore per non perdere l’occasione della salvezza, l’incontro con il Signore Gesù e la sua concreta sequela.

Gesù utilizza l’immagine della porta “stretta” e aperta solo per breve tempo a indicare l’urgenza della salvezza, così come per rientrare in città, alla sera, quando le altre porte erano chiuse, si doveva approfittare di una porta “stretta”. È l’invito a non presumere di se stessi e della salvezza, ma ad accogliere i segni della presenza di Dio e a vivere una vera conversione a Lui.

Per il vangelo, non soltanto i Giudei non devono avere la presunzione della salvezza per il fatto di appartenere al popolo dell’alleanza, ma neppure i discepoli di Cristo devono fidarsi dell’essere stati con lui. Ciò che conta è la giustizia. Si può essere, infatti, Giudei, figli di Abramo per nascita, e si può essere Cristiani, discepoli di Gesù per fede. Ma se si continua – pur in queste condizioni – a vivere come degli “operatori di ingiustizia”, non si è certo dalla parte di Dio, il solo Giusto che giustifica tutti, e non si è quindi partecipi della sua salvezza.

L’ultimo detto di Gesù, molto conosciuto – “Vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” – esprime ciò che è di fatto avvenuto nella storia della salvezza: quei Giudei, che erano primi e che hanno rifiutato di accogliere Gesù, sono divenuti ultimi; e quei pagani, che erano ultimi, ma che hanno aperto il loro cuore a Cristo, sono divenuti primi. Ma questo può ancora ripetersi, se anche noi, oggi, ci sentiamo sicuri nelle nostre pratiche religiose.

Come evitare, allora, di essere trovati impreparati, nel momento in cui il padrone di casa chiuderà la porta? C’è solo un rimedio: non disperare della salvezza, perché questa è offerta davvero a tutti, e – allo stesso tempo – non presumere di se stessi, ma scegliere di mettersi all’ultimo posto, come servi di tutti – come ha fatto Gesù – per poter ricevere da Dio il dono della sua grazia. Ed è questo ciò che impariamo a fare ogni volta che celebriamo l’Eucaristia in memoria di Lui.

Don Ettore Colombo
Responsabile della “Comunità pastorale Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della Messa di domenica 23 luglio 2017, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 23 luglio 2017