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“DOMANDIAMO A DIO L’OBBEDIENZA E LA LIBERTÀ DI ABRAMO”

Domenica 9 luglio – “Se vogliamo essere dei discepoli del Signore e vogliamo costruire una Chiesa “in uscita” – commenta il prevosto - anche noi dobbiamo avere la stessa obbedienza e la stessa fede di Abramo”

Nel lungo percorso della storia della salvezza, che ci sta accompagnando in queste domeniche dopo Pentecoste, ci incontriamo con la figura di Abramo e, più in generale, con quella dei patriarchi, cioè i nostri padri nella fede. Di Abramo ci viene detto – utilizzando il linguaggio caro a papa Francesco – che è un uomo “in uscita”. Questo è l’ordine che riceve da Dio, dopo che la sua famiglia si era ormai assestata a Carran: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”. Essere un uomo “in uscita” – così come essere una Chiesa “in uscita” – non significa “andare allo sbaraglio”, ma incamminarsi verso il Signore e verso gli uomini, sicuri solo della promessa di Dio. Così infatti si conclude il racconto di Abramo che “si incamminò verso la terra di Canaan”, e così ci invita a fare la pagina evangelica, attraverso la parola di Gesù. Nel suo vangelo, infatti, Luca ci presenta il tema della sequela, dell’andare dietro al Signore, attraverso tre diverse situazioni, tutte complementari tra loro.

La prima situazione è quella di un tale – un giovane, forse – che si propone a Gesù con grande fervore, al punto da dirgli: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Gesù deve calmare questa sua irruenza e riportarlo alla realtà: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

La seconda situazione ci presenta una chiamata diretta di Gesù. È lui che dice a un altro: “Seguimi”. E questo tale, a differenza del primo, vuole prima obbedire ai comandi della Legge: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Solo dopo aver compiuto il dovere previsto nei riguardi dei propri defunti, quest’uomo si metterà alla sequela di Gesù. Ma Gesù, con una parola che lascia sconcertati – “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu invece va’ e annuncia il regno di Dio” – gli rivela che ormai tutto è cambiato: con la sua persona e la sua presenza tra noi l’ultima parola non spetta alla morte, ma alla vita, e bisogna diventare annunciatori di vita.

La terza situazione vede ancora un altro che si propone a Gesù, anche se con qualche riserva: “Ti seguirò, Signore, prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Anche in questo caso la risposta di Gesù suona come lapidaria: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”. Di solito interpretiamo questa parola di Gesù come una messa in guarda dall’abbandonare la propria vocazione, il proprio compito. Ma, forse, il significato è più sottile. Gesù ci invita a non portare avanti il nostro compito e la nostra vocazione pensando ad altro, con la testa altrove. Se uno è intento ad arare un campo – questo è il suo compito – ma continua a “volgersi indietro”, a pensare ad altro, a guardare in una diversa direzione, alla fine andrà storto, uscirà dal seminato, se non andrà addirittura a sbattere contro un albero.

Queste tre diverse situazioni di chiamata e di sequela ci permettono di rileggere la vicenda di Abramo che, come dice l’autore della lettera agli Ebrei, “chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava”. Se vogliamo essere dei discepoli del Signore e vogliamo costruire una Chiesa “in uscita”, anche noi dobbiamo avere la stessa obbedienza e la stessa fede di Abramo e coltivare le stesse attenzioni ricordate da Gesù.

Sappiamo essere una Chiesa che vive non di eventi o di facili entusiasmi del momento, ma che accetta di seguire il suo Signore anche nei momenti di fatica, di difficoltà e di privazione? Sempre richiamando le parole del Papa: siamo disposti non solo ad essere una Chiesa “a favore dei poveri”, ma una Chiesa “povera”, che non conta sulle sue forze e sui suoi mezzi, ma sulla grazia di Dio? Siamo una Chiesa che si affida alla novità dello Spirito e confida nella misericordia del Signore, per sé e per gli altri, oppure preferiamo essere discepoli che devono sempre sistemare tutte le cose e avere tutto in ordine, prima di mettersi alla sequela del Signore? Siamo una Chiesa che guarda con fiducia al proprio futuro e vive con gioia la quotidianità della fede, oppure abbiamo sempre il capo rivolto altrove, barcamenandoci in scelte che alla fine risultano contraddittorie?

Grazie alla testimonianza di Abramo e all’insegnamento di Gesù, quest’oggi siamo invitati a rivedere la nostra fede e la nostra risposta alla chiamata di Dio, qualunque essa sia nella nostra vita: come uomini e donne, come battezzati, come sposi, come padri e madri di famiglia, come sacerdoti e consacrati a Dio, e, in generale, come Chiesa, come comunità dei discepoli del Signore.

Domandiamo a Dio l’obbedienza e la libertà di Abramo, che partì confidando solo sulla parola del Signore. Chiediamo di saper resistere davanti alle difficoltà, di non pretendere di avere tutto sotto controllo e soprattutto di seguire il Signore “senza volgerci indietro”, con gioia.

Don Ettore Colombo
Responsabile della “Comunità pastorale Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della Messa di domenica 9 luglio 2017, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 9 luglio 2017