Giovedì 28 Marzo

“LASCIAMOCI ILLUMINARE DALLO SPLENDORE DI GESÙ”

Domenica 26 marzo, IV di Quaresima – “Siamo chiamati a far risplendere sui nostri volti – commenta don Ettore – lo stesso splendore di Cristo, che non è effimero, perché rende nuova tutta la nostra esistenza”


Il cammino che stiamo compiendo in questo tempo di Quaresima, in preparazione alla Pasqua, ci sta aiutando a riscoprire il dono del nostro Battesimo. Oggi, con la figura di questo cieco guarito da Gesù, ci viene ricordata una caratteristica particolare del nostro Battesimo. Diventando cristiani, noi siamo stati illuminati da Cristo, la nostra vita è stata rischiarata dalla sua reale presenza. Nel gesto di Gesù che pone del fango sugli occhi del cieco nato e lo invia alla piscina di Siloe a lavarsi – ce lo ricorda il prefazio – “è raffigurato il genere umano, prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata”. Non per nulla i catecumeni, diventati “eletti” nel cammino immediatamente precedente la Pasqua, dopo il Battesimo vengono chiamati gli “illuminati”.

Ciò che colpisce in questa pagina evangelica, rispetto alle altre che ascoltiamo lungo le diverse domeniche di Quaresima, è l’assenza di Gesù per gran parte della narrazione. Mentre Gesù è costantemente presente nella pagina delle tentazioni, nel dialogo con la Samaritana, nello scontro con i Giudei, nella risurrezione di Lazzaro, qui no. Gesù compare solo all’inizio – ed è l’unico che “vede” la condizione di questo cieco, si accorge di lui – e poi alla fine, quando va ancora alla ricerca di quest’uomo e, dopo avergli donato la vista, gli dona la fede in lui. Per tutto il resto del racconto, Gesù è assente, è fuori campo. Sentiamo solo parlare di lui, ma non lo vediamo.

Gesù è l’oggetto di tutta la discussione tra il cieco dalla nascita e i farisei che non vogliono credere che egli sia stato cieco. Ma è anche il motivo della paura per cui i genitori del cieco non osano sbilanciarsi. Tutti parlano di lui, tutti si interessano a lui, ma lui non si fa vedere. Può essere visto solo da chi è disponibile a un cammino di ricerca. È visto, infatti, da questo cieco che prima riconosce in lui un uomo che lo ha guarito, poi un profeta, e infine un inviato di Dio. E quando Gesù gli si presenta di nuovo davanti e quest’uomo – che aveva già ascoltato la sua voce e udito le sue mani premere sui suoi occhi – può ora vederlo, il cieco è l’unico che arriva a compiere una vera professione di fede: “Credo, Signore!”.

È questo il cammino che dobbiamo compiere anche noi: saper scorgere la discreta presenza di Dio nella nostra vita e lasciarci illuminare dallo splendore di Gesù e della sua umanità. Come Mosè è stato illuminato nel volto dall’incontro con Dio sul Sinai, avendo parlato con Lui faccia a faccia, così noi siamo chiamati a far risplendere sui nostri volti – secondo le parole di Paolo – lo stesso splendore di Cristo, che non è effimero, perché rende nuova tutta la nostra esistenza. E che i nostri occhi si siano aperti e suoi nostri volti risplende il fulgore di Cristo ci viene detto dalla capacità che noi stessi abbiamo di provare i sentimenti di Gesù e di essere capaci, come lui, di vedere chi ci sta accanto e di non giudicare nessuno secondo i nostri preconcetti.

I discepoli di Gesù non vedono il cieco come uomo, ma solo un problema, e non si lasciano commuovere da lui, si fanno solo domande falsamente religiose. I capi dei Giudei non vedono il cieco nella sua verità, ma presumono di conoscere già quale sia la sua condizione e non sono disposti a cambiare le proprie idee su di lui. Anche i genitori di questo cieco, che pure avrebbero dovuto vedere in lui un figlio e quindi gioire per la sua guarigione, non vogliono vedere ciò che è successo, per non crearsi ulteriori problemi nella loro vita.

Solo Gesù vede, si commuove, si lascia coinvolgere dalla condizione di quest’uomo e rischia in prima persona, sfidando la legge del sabato, pur di ridargli gioia e luce. E, alla fine, anche quest’uomo – l’unico realmente cieco in tutto il racconto – torna a vedere. E vede realmente: non solo coloro che gli stanno accanto, ma anche Gesù che lo ha guarito e lo riconosce come Signore e punto di riferimento della sua esistenza. È ciò che domandiamo a Dio per noi in questa Eucaristia perché tutti possiamo diventare capaci di trasmettere a chiunque incontriamo la gioia di aver incontrato Gesù e di vedere il mondo con occhi nuovi e pieni di luce.

Don Ettore Colombo

Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

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Cernusco sul Naviglio, 26 marzo 2017