DJ FABO: UNA VICENDA CHE INTERROGA

La scelta di Antoniani chiama tutti a riflettere, perché è una sconfitta grave e dolorosa per tutti noi”, perché “il rischio più grande del nostro tempo è la perdita del senso e del gusto del vivere”

Foto archivio SIR


Da giorni la notizia della scelta per il suicidio assistito fatta da Fabiano Antoniani, in arte DJ Fabo, è al centro dell’attenzione dei mezzi di comunicazione sociale. Come noto, Antoniani aveva chiesto di morire perché costretto a una condizione di vita estremamente dolorosa, in quanto tetraplegico e cieco dal 2014 a seguito di un incidente stradale. Per mettere in atto la sua decisione ha dovuto essere accompagnato in Svizzera, perché la legge italiana non permette il suicidio assistito. Il dj è morto lo scorso 27 febbraio.


“È una sconfitta grave e dolorosa per tutta la società, per tutti noi – ha detto il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, commentando la scelta fatta da Antoniani - perché la vita umana trae spunto, forza e valore anche dal fatto di vivere dentro delle relazioni di amore, di affetto, dove ognuno può ricevere e può donare amore. Fuori da questo è difficile per chiunque vivere, la solitudine uccide più di tutto il resto”. Per il cardinale, “solamente Dio può raggiungere il cuore di ciascuno di noi, nessun’altro così in profondità. E allora la prima forma di vicinanza è proprio quella della mia e della nostra preghiera. Ma anche quella della parola, del sostegno, del contatto fisico di cui tutti abbiamo tanto bisogno”.

“Ognuno di noi riceve la vita – ha poi aggiunto il presidente della Conferenza episcopale italiana - non se la dà e questo è evidente e pertanto ne siamo dei servitori, dei ministri. Responsabili, intelligenti, ma senza potere mai dominare la vita nostra e tanto più degli altri”.

L’invito a riflettere è stato rivolto anche da monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, che dopo aver chiesto “profondo rispetto” su tutta la vicenda, ha aggiunto: “Ciò che, invece, mette profondamente a disagio è la strumentalizzazione di un tale dramma umano per diffondere sostanzialmente una cultura di morte. Il desiderio di ‘farla finita’ in situazioni psichiche e fisiche così compromesse è innanzitutto esigenza radicale di senso, è domanda di significato del vivere. Questo è il rischio più grande del nostro tempo: è la perdita del senso e del gusto del vivere.”

“Si dovrà giustamente continuare a discutere in modo adeguato, senza indebite pressioni emotive, sul testamento biologico e sul fine vita – riflette il vescovo ausiliare - approfondendo quella sapiente via media che rifiuta sia l’accanimento terapeutico, sia l’eutanasia. Si tratta di assecondare la realtà accompagnando la persona in un’appropriata relazione di cura nel suo percorso di vita” che, poi aggiunge, “non risparmia certo il dramma di una condizione di disabilità gravissima, ma permette di viverla in tutta dignità.”

“Di fronte ad un evento come la morte del Dj Fabo – è l’ultima considerazione di Martinelli - è impossibile non arrivare alle questioni ultimative, al tema del senso della sofferenza e della speranza.” La fede cristiana “afferma radicalmente il senso, la direzione e il significato che ogni vita umana possiede per il fatto stesso di esistere. Ciascuno è ‘in relazione’ e posto dentro il misterioso disegno buono del Padre. Esistere è essere voluti. Il nostro è un Dio che si è sporcato le mani con la sofferenza, l’angoscia e la morte. La risposta non sta in parole di spiegazione, ma in una presenza che ama, fino alla fine.”

Per leggere il testo integrale della riflessione di monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano, cliccare qui.

Cernusco sul Naviglio, 3 marzo 2017