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LAVORO LIQUIDO

Il lavoro fluido chiede uno sforzo politico per fissare regole capaci di garantire la dignità anche ai più deboli, ma deve essere accompagnato da un passaggio culturale che accetti l’idea di coltivare l’aggiornamento continuo


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

Dall’ultima rilevazione trimestrale dell’Istat sul mercato occupazionale possiamo trarre due indicazioni che descrivono l’attuale condizione dei lavoratori. Da una parte, si evidenzia la crescita degli occupati indipendenti, che vanno dai liberi professionisti agli artigiani, dai percettori di voucher alle partite Iva. Dall’altra parte, si nota come l’Istituto di statistica abbia modificato la definizione di lavoratori a tempo indeterminato trasformati in permanenti che offre un’idea di minore stabilità.


Sono due indicazioni che ci introducono in una diversa dimensione del lavoro dove le posizioni sono meno sicure ma più variabili, più flessibili ma più vulnerabili. In questi passaggi Zygmunt Bauman, scomparso di recente, descriveva una delle cause – le altre erano i cambiamenti della vita affettiva, che trasformano le famiglie, e la riduzione del welfare state, che indebolisce la redistribuzione delle risorse tra i cittadini – della società dell’incertezza. Quella che disorienta le persone perché toglie loro punti di riferimento per immaginare un progetto di vita; e quella che ci conduce alla società liquida dove ruoli e status sono indefiniti e senza una precisa forma.
Una liquidità che si ritrova anche nel mondo della produzione e mostra le sue contraddizioni.

La vulnerabilità dei contratti è sicuramente il tallone d’Achille che colpisce i più deboli. Un esempio lo offre la stessa approvazione della richiesta di un referendum per l’abolizione dei voucher, come misura di pagamento per il lavoro accessorio, che ci porta senz’altro a riflettere sulla forte precarietà esistente. La misura, nata per far emergere i lavori in nero, è stata, invece, spesso utilizzata per aumentare l’instabilità di chi viveva già condizioni svantaggiose come i lavoratori a progetto. La proposta che ha raccolto notevole consenso, oltre 3 milioni di firme, rivela lo scontento per l’abuso nell’utilizzo del voucher, tanto che lo stesso Governo sarebbe pronto a intervenire per restringere i campi di applicazione, ed evitare il referendum.


C’è però anche un’altra dimensione del lavoro liquido da considerare: la sua apertura, la sua propensione a cambiare e a innovare. Da questo tratto bisognerebbe ripartire per proporre specialmente ai giovani nuove modalità di vita lavorativa, meno incentrate sulla carriera in un’unica azienda e sulla ripetizione di processi produttivi, e incardinate sulla crescita della propria professionalità e di una relazionalità diffusa. Forse in questo modo non diventeranno ricchi, ma sapranno muoversi in un mercato fluido.


Il lavoro fluido chiede sicuramente uno sforzo politico per fissare regole capaci di garantire la dignità anche ai più deboli, ma deve essere accompagnato da un passaggio culturale che accetti l’idea di coltivare l’aggiornamento continuo abbinato alla possibilità di cambiare.

Andrea Casavecchia per Agenzia SIR

Riproduzione riservata

Cernusco sul Naviglio, 16 gennaio 2017