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POST-VERITÀ, UN’EREDITÀ SCOMODA

Il 2016 ci lascia come parola dall’anno la post-verità. Un impegno per tutti a una maggiore responsabilità.


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

Portiamo con noi un’eredità pesante, mentre ci lasciamo alle spalle il 2016. Nell’anno appena trascorso abbiamo preso atto che diamo molto affidamento alle emozioni e ai sentimenti; prestiamo facilmente ascolto al sentito dire che alimenta possibili attese o paure nascoste. Forse lo sapevamo già, ma, quando l’Oxford Dictionary ha indicato “post truth” – per noi post-verità – come parola dell’anno, ne abbiamo acquisito una maggiore consapevolezza. Da quel momento si sono avanzate analisi sulla facilità con cui si costruisce una falsa cultura: come si presti fiducia a qualsiasi informazione intercettata sui media, specialmente quelli di seconda generazione, come moltissimi siano attratti da notizie non verificate, che poi si rilevano bufale. Tutte contribuiscono a creare una pseudo-cultura, perché la cultura non è solo formata dalla scienza o dalla razionalità, ma anche dalle tradizioni, dalla saggezza popolare, dai costumi. Fabbricare notizie parascientifiche coerenti ad alcuni valori è un modo credibile di costruire una post-verità.

Il mondo digitale, poi, con le sue numerose piattaforme social favorirebbe la diffusione di mezze verità, piccole o grandi bugie che però ci affascinano, perché ci riscaldano il cuore o, all’opposto, danno sfogo alla nostra rabbia. In un modo o nell’altro le sentiremmo vicine e così saremmo ben disposti ad accettarle, ma soprattutto a condividerle e quindi a diffonderle a nostra volta. Diventano le nostre post-verità che condizionerebbero la formazione delle opinioni, di scelte politiche o di nostri comportamenti.

Una ricerca negli Stati Uniti, pubblicata dal Pew research center, ci mostra una realtà un po’ diversa. Gli statunitensi intervistati infatti dichiarano di essere consapevoli che molte notizie diffuse sul web e nei social media sono inventate. Tra loro circa il 40% sostiene di essere in grado di identificarle, anche se oltre il 64% dichiara che le false notizie seminano confusione. Inoltre circa il 23% le hanno condivise sui social. Secondo gli intervistati le responsabilità dei fake che si incontrano sono ripartite in modo equo tra motori di ricerca, piattaforme social e lo stesso pubblico. L’indagine ci dice, allora, che gli utenti non sono completamente sprovveduti e sono consapevoli della possibilità di incontrare notizie false. Renderle post-verità, cioè credenze infondate, diventa poi responsabilità comune. Dovremmo riuscire a comprendere invece che credibile non è sinonimo di affidabile.

Sarebbe bello e opportuno che il 2017 ci aiutasse ad acquisire una maggiore responsabilità, perché in un mondo dove ognuno è connesso, tutti siamo comunicatori e divulgatori di informazioni, ma nessuno di noi ha la preparazione adeguata per comprenderne fino in fondo la veridicità. Se proprio non possiamo farne a meno, un certo grado di modestia, che nasce dalla consapevolezza dei nostri limiti, dovrebbe aiutarci a interrogare esperti (in carne e ossa) prima di condividere post-verità.

Andrea Casavecchia per Agenzia Sir

Riproduzione riservata

Cernusco sul Naviglio, 2 gennaio 2017