NELLA DEBOLEZZA DI DIO STA LA SUA FORZA

Domenica 25 dicembre – “A Dio piace manifestare se stesso non nel segno della potenza e della forza, ma in quello della debolezza e della povertà. Ma sbaglieremmo – scrive il prevosto - a credere che un Dio così sia anche un Dio impotente”

“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Sono le parole che i pastori hanno udito dalla bocca di un angelo, perché solo un angelo – cioè un inviato di Dio – può arrivare a dire certe cose ed essere creduto.

Noi tutti siamo alla ricerca di segni. Lo siamo nella nostra vita quotidiana così come in riferimento ai grandi eventi che costruiscono la storia degli uomini. Per questo ci affidiamo a oroscopi e cartomanti, e siamo attenti agli avvenimenti che capitano nel mondo per poter avere una risposta sul nostro futuro, per garantirci una sicurezza che ci lasci tranquilli. Ed è proprio per questo che siamo più pronti a credere ai segnali di potenza che non a quelli della debolezza. Se ci fossimo stati noi, al posto dei pastori, magari avremmo chiesto consiglio per avere una certa entratura coi forti e coi potenti della terra, quelli che Luca elenca all’inizio della pagina evangelica: Cesare Augusto, ad esempio, o anche un semplice Quirinio. Ma l’angelo – l’inviato da Dio – come non si rivolge a loro per portare il suo annuncio, così non li indica ai pastori quale segno da cercare.

Il segno è altro: “Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. “Questo per voi il segno”, viene detto ai pastori, ma ora è proclamato anche per noi, in questo giorno di Natale. A Dio piace manifestare se stesso non nel segno della potenza e della forza, ma in quello della debolezza e della povertà. Il nostro Dio, il Dio cristiano, il Dio che Gesù è venuto a rivelarci, è il Dio inerme, cioè senza armi, disarmato, indifeso, debole, attaccabile. Ma sbaglieremmo a credere che un Dio così sia anche un Dio impotente. Nella sua debolezza sta la sua forza.

Il racconto con cui Luca descrive la nascita di Gesù da Maria di Nazaret – “Diede alla luce suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” – è molto simile a quello con cui, al termine del vangelo, descriverà ciò che avviene alla sua morte, quando a prendersi cura del corpo di Gesù è Giuseppe di Arimatea: “Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia”. Quasi a dire che la nascita di Gesù non è molto diversa da quella di ogni uomo che entra in questo mondo, e in modo particolare di coloro che vi entrano ancora come lui, nei segni dell’indifferenza, del rifiuto e dello scarto. Ma non è neppure diversa dalla sua morte, così simile alle migliaia e migliaia di morti innocenti che ancora oggi, purtroppo, lasciano indifferenti i nostri sguardi. Anzi, ci sembrano solo un problema che altri devono risolvere.

Qui, però, si compie l’annuncio di novità e di speranza che proprio il Natale di Gesù ci porta. Proprio perché la sua nascita come la sua morte sono simili al nascere e al morire di ciascuno di noi e di ogni uomo che è nostro fratello, allora vuol dire che solo qui, in questo nascere e in questo morire “così”, noi troviamo il segno della presenza di Dio che non abbandona mai i suoi figli e il suo popolo. “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Davvero noi andiamo alla ricerca di Dio in questo segno? Davvero noi siamo in grado di scorgere i segni della presenza di Dio accanto a noi nel volto del fratello che soffre, del bambino che piange, del profugo che scappa, del povero che chiede, dell’innocente che muore?

Forse, con molta onestà, dobbiamo ammettere che noi tutti ne siamo incapaci. Ed è proprio per questo che il nostro Dio, con una ostinazione che è soltanto sua, ci chiede di rivolgere il nostro sguardo ogni anno, nel giorno del suo Natale, a questo segno di un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Quasi a dire: “Tu forse sei stanco di tutto il male che c’è nel mondo, e vai alla ricerca della tua sicurezza e della tua tranquillità, ma io non mi stancherò mai di te, delle tue povertà, della tua sete di felicità, del tuo desiderio di una vita diversa e per questo ti ricondurrò sempre alla mangiatoia, a quel luogo dove ho scelto di iniziare la mia vita in mezzo agli uomini, perché fosse tutta consumata”.

Se solo avessimo il coraggio di riconoscerci nella nostra povertà e nella nostra piccolezza, allora non avremmo più paura della povertà e della piccolezza degli altri, e nemmeno di quella di Dio, che è la nostra forza. Proprio la sua debolezza – così come la nostra e quella dei nostri fratelli – diventerebbe la forza da cui ripartire. Allora scopriremmo di far parte di quel popolo che camminava nelle tenebre e che ha visto una grande luce, e sentiremmo detta a noi la parola di Dio rivolta al suo Figlio unigenito: “Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato”. Nel Natale di Gesù, infatti, anche noi rinasciamo, ogni giorno, e diventiamo capaci di far rinascere gli altri.

Don Ettore Colombo

Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

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Cernusco sul Naviglio, 25 dicembre 2016