ALLENIAMOCI A COLTIVARE LA SPERANZA NEI NOSTRI CUORI

Domenica 13 novembre, prima di Avvento – «Alleniamoci a volgere il nostro sguardo verso il futuro: non tanto quello che possiamo creare con le nostre mani o immaginare con la nostra mente, quanto piuttosto il “futuro di Dio”»

Con il tempo di Avvento noi diamo inizio a un nuovo anno liturgico e ricominciamo, allo stesso tempo, il nostro cammino alla sequela del Signore. Paradossalmente lo iniziamo partendo dalla fine – da ciò che accadrà alla fine dei tempi – ed è giusto che sia cosi: solo conoscendo la meta noi osiamo intraprendere i passi che ci conducono al Signore.

È Gesù stesso che, nella pagina evangelica, ci parla della fine, così come già il profeta Isaia aveva esortato gli uomini del suo tempo a guardare al compimento dei disegni di Dio nella storia. Gesù usa lo stesso linguaggio di Isaia. Ci ricorda che nel mondo in cui viviamo nulla dura in eterno e tutto ha una sua fine. Hanno fine le opere costruite dalle mani degli uomini, come lo era, ad esempio, lo splendido tempio di Gerusalemme. Proprio ai discepoli che ne ammiravano la costruzione, Gesù dice: “Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta”. Ma hanno fine anche le ingiustizie e le brutture che gli uomini, in ogni tempo, infliggono a se stessi e agli altri. È quello che il profeta Isaia invita a vedere: “Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni, poiché le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana”. Persino “i cieli si dissolveranno e la terra si logorerà come un vestito”, mentre “i suoi abitanti moriranno come larve”. Tutte queste parole servono non a incutere timore nei nostri cuori, ma piuttosto a farci contemplare da una diversa prospettiva ciò che sta sotto i nostri occhi, per ravvivare in noi la speranza.

Anche noi, infatti, ogni giorno, siamo spettatori della bellezza del creato e delle meraviglie della tecnica, così come dell’ingegno degli uomini e del loro desiderio di felicità. Ma siamo anche spettatori di tutte le forme di male che attaccano la nostra vita e la vita degli altri, degli egoismi e delle chiusure, delle paure e delle frodi, delle miserie con cui distruggiamo la nostra esistenza e quella degli altri, insieme alla terra in cui abitiamo. Davanti a queste situazioni così drammatiche – “sentirete di guerre e di rumori di guerre… si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi” – siamo invitati da Gesù a non temere e a ravvivare nel nostro cuore l’attesa per “la venuta del Signore”. E proprio a questo serve il tempo di Avvento che con questa domenica iniziamo.

Noi, da molto tempo ormai, abbiamo finalizzato questo particolare periodo dell’anno liturgico in prospettiva del Natale di Cristo, pensando che l’Avvento sia il tempo in cui ci prepariamo alla nascita di Gesù. In parte questo è vero, ma non dobbiamo dimenticarci che colui che attendiamo è il Risorto e il Signore. Noi non siamo più in attesa della sua nascita storica: questa è già avvenuta più di duemila anni fa. Noi attendiamo questo avvenimento – “il Natale di Cristo” – e ne facciamo memoria, solo perché siamo in attesa del giorno del suo ritorno, “la venuta del Signore”, appunto. È questo ciò su cui la liturgia della Prima domenica di Avvento attira la nostra attenzione. E l’apostolo Paolo, scrivendo la sua Seconda lettera ai cristiani di Tessalonica – che il ritorno del Signore lo immaginavano come imminente ed erano delusi del suo continuo ritardo – lascia alcune indicazioni che possono essere utili anche per noi oggi, in questo tempo di attesa.

Ci invita anzitutto a non lasciarci ingannare da ciò che vediamo o sentiamo, come già aveva fatto Gesù con i suoi discepoli. Dobbiamo saper vagliare bene ciò che ascoltiamo e non dobbiamo dare credito a tutto ciò che ci viene detto, soprattutto quando a farlo è qualcuno che vuole approfittare di noi per i propri interessi. “Nessuno vi inganni in alcun modo!”. E ciò è possibile solo se il nostro cuore sarà rivolto a Dio e le nostre orecchie all’ascolto della sua parola, e non a quella di ogni imbonitore.

E il secondo atteggiamento è quello del ringraziamento per tutto ciò che di buono Dio ci fa incontrare nel nostro cammino: “Noi però dobbiamo sempre rendere grazie a Dio”. Quando perdiamo la dimensione del ringraziamento e ci sembra che tutto dipenda dalle nostre forze e che ciò che ci viene dato sia qualcosa di dovuto, allora abbiamo fallito la nostra vita di cristiani e di discepoli del Signore.

Alleniamoci, in questo tempo di Avvento, a coltivare la speranza nei nostri cuori, a volgere il nostro sguardo verso il futuro: non tanto quello che possiamo creare con le nostre mani o immaginare con la nostra mente, quanto piuttosto il “futuro di Dio”, quello che ci è stato già concesso con il dono della Pasqua di Gesù e che ci sarà consegnato in modo pieno e definitivo con la venuta del Signore. È questo ciò che attendiamo.

Don Ettore Colombo

Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

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Cernusco sul Naviglio, 13 novembre 2016