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IL VANGELO È DAVVERO PER TUTTI, BUONI E CATTIVI

Domenica 30 ottobre – “Gesù – scrive il prevosto - ci mette in guardia dal confondere la grandezza e la misericordia di Dio con la trascuratezza o la presunzione nel cogliere i suoi inviti.”

Dopo la festa della Dedicazione del Duomo di Milano, chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani, la nostra liturgia ci ha fatto celebrare, domenica scorsa, la memoria del mandato missionario. Come a dire: la Chiesa – rappresentata dalla nostra cattedrale – è il luogo dove agisce lo Spirito di Gesù ed esiste non per rimanere chiusa in se stessa, ma per essere inviata a portare la buona notizia che Dio ama gli uomini fino agli estremi confini della terra. E in questa domenica in cui si mette a tema la partecipazione delle genti alla salvezza, si vuole ribadire che il vangelo – la buona notizia di Gesù, l’annuncio del Regno – è davvero per tutti, buoni e cattivi.

Anzi, la parabola evangelica con cui Gesù descrive la realtà del Regno dei cieli, parla di un banchetto preparato ostinatamente da Dio, come annunciato nelle pagine del profeta Isaia, nella Prima Alleanza, e antepone i cattivi ai buoni. Al comando del re, infatti, di dice che i servi, “usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni”. È la realizzazione di quanto Isaia aveva preannunciato: “Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli un banchetto di grasse vivande”. Il nostro Dio è un Dio a cui non piace stare solo. Desidera che la sua sala sia riempita dai commensali, vuole che tutti i popoli possano partecipare alla sua gioia. Stupisce, allora, davanti a un simile atteggiamento di Dio, che il comportamento degli uomini sia esattamente il contrario: a un Dio che gratuitamente si fa nostro servo e prepara per noi un banchetto regale, noi rispondiamo o con l’indifferenza o con l’autosufficienza.

Siamo indifferenti al dono dell’amicizia di Dio quando, invitati al banchetto, rifiutiamo di partecipare alla sua gioia, come hanno fatto i primi invitati alle nozze. In quel caso erano i sacerdoti e gli anziani del popolo che non volevano partecipare della novità di vita portata da Gesù, al punto di progettare la sua morte. E, in seguito, erano tutti coloro che, pur appartenendo al popolo primogenito dell’Alleanza, in quanto figli di Abramo, non avevano accettato l’invito offerto da Gesù a sperimentare la nuova discendenza dei figli di Dio. Anche noi, però, possiamo rispondere con l’indifferenza all’azione di Dio nella nostra vita quando neppure ci accorgiamo di Lui e viviamo i nostri affetti, il nostro lavoro, le nostre gioia, come se Egli non esistesse.

Il secondo atteggiamento, oltre a quello dell’indifferenza, può essere quello dell’autosufficienza. Chi è entrato alla festa e ha accettato l’invito che gli è stato rivolto, deve anche indossare l’abito della festa, deve cioè condividere lo stesso stile di Dio, che è fatto di comunione e di gratuità. Non può pretendere di ricevere questi doni e di tenerli per sé, isolandosi dagli altri e vivendo una specie di fede autoreferenziale. Questo è ciò che ha fatto quell’invitato che – buono o cattivo non importa, perché c’erano tutti nella sala – è stato trovato senza l’abito nuziale, cioè non ha voluto rivestirsi della stessa gratuità e dello stesso desiderio di gioia e di comunione che Dio gli aveva regalato. Ma capita anche a noi, a volte, di voler ottenere da Dio la sua considerazione, le sue grazie, il suo aiuto, e di essere poi incapaci di condividere con gli altri la gioia e il dono ricevuto.

Abbiamo bisogno, secondo la liturgia di questa domenica, di farci cambiare il nostro nome da Dio, cioè la nostra identità, così come Dio l’ha effettivamente cambiato ad Abramo, nostro padre nella fede e padre di molti altri popoli. Ad ’Abrām – secondo il racconto della Genesi ricordato da Paolo nella Lettera ai Romani – Dio cambia il nome in ’Abrāhām, come a dire: colui che riconosce che “Il Padre (Dio) è grande” (’Ab rām) diviene colui che si fa “padre dei popoli” (’Ab rāhām). Non possiamo accogliere la gratuità e la grandezza di Dio nella nostra vita senza che il nostro animo diventi altrettanto grande e capace di ospitalità e accoglienza nei riguardi di tutti.

Il Signore Gesù, al termine di questa parabola carica di sorprese (un invito più volte inspiegabilmente rifiutato, una insistenza anch’essa reiterata più volte, una violenza nel giudicare chi ha rifiutato, una durezza nell’escludere chi non si è dimostrato pronto) ci mette in guardia dal confondere la grandezza e la misericordia di Dio con la trascuratezza o la presunzione nel cogliere i suoi inviti: “Molti sono chiamati (klētoí), ma pochi eletti (’eklektoí)”. La frase può sembrare un paradosso, dal momento che i due termini hanno lo stesso significato e andrebbe quindi tradotta: “Molti sono i chiamati, ma pochi sono i chiamati”. Forse sta a dire: “Noi, come cristiani, siamo chiamati ed eletti, ma cessiamo subito di esserlo se presumiamo di accampare una pretesa nei riguardi di Dio, che giudica e concede la sua grazia con sovrana libertà”. Ci aiuti il “Dio dei banchetti” ad allargare la nostra gioia verso tutti.

Don Ettore Colombo

Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della Messa di domenica 30 ottobre 2016, Seconda dopo la Dedicazione del Duomo di Milano, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 30 ottobre 2016