Venerdì 29 Marzo

LA NOSTRA VITA SIA REALMENTE ACCOGLIENTE VERSO TUTTI

Domenica 9 ottobre - In una società conflittuale come la nostra l’attenzione ai piccoli gesti e alla fragilità di chi è discepolo del Signore garantisce della genuinità delle nostre azioni.

E’ abbastanza facile pensare, dopo l’ascolto delle pagine della Scrittura di questa domenica, che il cuore dell’annuncio evangelico di oggi consista nel tema dell’accoglienza. La lettura del primo libro dei Re, infatti, ci ha descritto la figura di Elia ospitato dalla vedova di Sarepta. Questa donna, benché povera e in difficoltà, riconosce in Elia un uomo di Dio e lo accoglie in casa sua. La lettera agli Ebrei ci ha invitato espressamente a non dimenticarci dell’ospitalità, sottolineando addirittura che “alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (un chiaro accenno alla figura di Abramo). E anche Gesù, nella pagina evangelica, fa riferimento all’ospitalità: per ben sei volte utilizza il verbo déchomai, “accogliere”. E di questi tempi è un richiamo utilissimo. In realtà, se teniamo conto della particolarità del tempo liturgico che stiamo vivendo – la sesta domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore, ma anche la domenica che precede la festa della Dedicazione della Chiesa cattedrale (il duomo di Milano) – ci accorgiamo subito che non è solo il tema dell’accoglienza ad essere messo in gioco, ma ancor più quello della identificazione e della comunione di vita con Cristo Gesù.

In una parola, Gesù ci ricorda che è di certo importante “accogliere” (Dio, Gesù stesso, i fratelli), ma ancora di più è necessario riconoscere che “chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”. Le domeniche dopo Pentecoste, attraverso il racconto delle tappe principali della storia della salvezza, ci hanno spinto a riconoscere l’azione di Dio nella storia degli uomini. Con il riferimento alla figura profetica di Giovanni Battista, il Precursore, colui che ha indicato in Gesù il compimento della storia della salvezza, anche noi – nelle domeniche dopo il Martirio – siamo stati invitati a riconoscere in Gesù e nella sua concreta persona i tratti essenziali della rivelazione di Dio (colui che invita alla conversione, che chiama tutti a salvezza, che dà testimonianza al Padre, che dona la sua vita come cibo, che offre il perdono di Dio gratuitamente).

Ora, nelle vicinanza della domenica della Dedicazione del Duomo e in quelle che seguiranno, siamo spinti a riconoscere che questa pienezza della manifestazione di Dio attraverso Gesù continua a esistere nella sua Chiesa, nella comunità degli uomini e delle donne che credono in lui. Gesù instaura questo legame indissolubile tra la sua persona e il Padre che lo ha mandato e, allo stesso tempo, collega la sua missione a quella dei suoi discepoli (addirittura identificandoli a sé: “Chi accoglie voi, accoglie me”). Gesù instaura uno stretto collegamento tra la sua vita e la sua persona con quella dei suoi discepoli e di coloro che hanno creduto, credono e crederanno in lui. Per questo motivo – e non per altro – dobbiamo riconoscere che non si può accogliere la persona di Gesù e, allo stesso tempo, rifiutare di vivere in comunione con la sua comunità, la Chiesa. Anzi, è proprio la comunione con la Chiesa – l’essere suo corpo, dice Gesù – che manifesta l’accoglienza del Padre che lo ha mandato. La Chiesa, dunque, nella sua realtà concreta e storica, porta con sé i tratti di questa comunione spirituale con Dio, attraverso Gesù. Accogliere i discepoli di Gesù è dunque accogliere lui, e accogliere lui è accogliere il Padre.

Ma che cosa significa “accogliere”? Le parole di Gesù fanno riferimento al concreto ospitare in casa propria, riservato a coloro che, nella Chiesa primitiva, erano i missionari del vangelo. Come Gesù era stato accolto o rifiutato nel suo cammino verso Gerusalemme, così ora i suoi discepoli ricevono la stessa sorte, sono accolti o rifiutati. E spesso una simile accoglienza viene manifestata non attraverso grandi gesti, ma nel semplice dare un solo bicchiere d’acqua a uno solo di questi piccoli che sono i discepoli di Gesù. Nessun gesto andrà perduto.

In una società conflittuale come la nostra – dove ci si deve per forza schierare contro qualcuno o si rincorre il successo ad ogni costo, contando sui grandi numeri – questa attenzione ai piccoli gesti e alla fragilità di chi è discepolo del Signore garantisce della genuinità delle nostre azioni, anche per chi non è cristiano e tuttavia è disponibile a riconoscere la bontà del vangelo e accoglie i discepoli nel nome di Gesù, e solo “nel suo” e di nessun altro. Accogliere (o anche rifiutare) il vangelo perché mi viene annunciato da questa o da quella persona, infatti, è già un segnale di “ospitalità deviata”. Il vangelo (cioè Gesù e la comunione col Padre) sa farsi riconoscere per quello che è, e nulla e nessuno può ostacolare la sua corsa. Auguriamoci che non siamo proprio noi, la Chiesa, con il nostro vivere, a rendere opaco il Vangelo e che la nostra vita sia realmente accogliente verso tutti.

Don Ettore Colombo

Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della Messa di domenica 9 ottobre 2016, VI domenica dopo il martirio di Giovanni Battista il precursore, cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 9 ottobre 2016