“IL GIUDIZIO DI DIO NON È MAI CONTRO L’UOMO”

Domenica 18 settembre – “Ma contro il male che lo assilla – scrive il prevosto - e che distrugge la nostra umanità. In questo anno della misericordia abbiamo bisogno di sentircelo dire spesso.”


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In queste domeniche è ancora la figura di Giovanni il Precursore ad essere ricordata e questa volta è Gesù stesso a farlo. Nella pagina evangelica di questa domenica, Giovanni viene descritto da Gesù come colui che “ha dato testimonianza alla verità”, una “lampada che arde e risplende”, che però non è stata accolta. Il motivo per cui Gesù parla di Giovanni e lo descrive in questo modo è molto semplice. Gesù ha appena guarito un uomo, un paralitico, in giorno di sabato, durante una festa a Gerusalemme, e tutto ciò non fa problema, anzi, è motivo di gioia: un uomo è stato risanato e ricondotto alla vita. Ciò che fa problema, però, è il fatto che Gesù comanda a quest’uomo guarito di prendere sotto braccio la barella su cui per anni era stato infermo e di tornarsene a casa. Per i farisei e i capi del popolo il comando di Gesù – “Prendi la tua barella e cammina” – è un’evidente infrazione del sabato, perché fa compiere un lavoro (portare sotto braccio una barella) in un giorno in cui era proibito.

La chiusura del cuore e la ristrettezza della mente degli avversari di Gesù non fa comprendere loro la grandezza del segno compiuto: un uomo è stato liberato dal suo male e ricondotto a una pienezza di vita e ci si ferma su un particolare secondario e sull’osservanza formale della Legge. Gesù deve dunque giustificarsi, e lo fa con un lungo discorso, di cui abbiamo ascoltato solo una parte. Da accusato, secondo la Legge in vigore, deve portare almeno due testimoni a sua difesa e Gesù ne porta ben quattro. Anzitutto Giovanni Battista, il Precursore, inviato da Dio per dare testimonianza proprio a Gesù. In secondo luogo le opere che Gesù compie, i segni fatti a favore della vita e della gioia degli uomini (le nozze di Cana, la guarigione del servo del centurione, il paralitico). Poi il Padre stesso, col quale Gesù afferma di avere un legame di figliolanza del tutto particolare, perché senza di Lui egli non può compiere nulla. Infine le Scritture, la stessa Torah, la Legge che gli viene contrapposta e che, invece, non fa altro che parlare di lui. Gesù, dunque, come se fosse in un’aula di tribunale, si difende da chi lo accusa e mostra la credibilità della sua azione e della sua parola.

Anche la lettura del profeta Isaia mette in scena un’azione giudiziaria: è Dio stesso che chiama in causa il suo popolo, Israele, per spingerlo alla conversione e alla giustizia, mostrando la gravità dei suoi peccati: “Tu mi hai dato molestia con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità”. E tuttavia, Dio risponde al male con la sua misericordia che non ha limiti: “Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati”. Il giudizio di Dio non è mai contro l’uomo, ma contro il male che lo assilla e che distrugge la nostra umanità. In questo anno della misericordia abbiamo bisogno di sentircelo dire spesso. La misericordia di Dio non è un atto di “buonismo”, ma la capacità di trasformare il male in bene e di dare fiducia al cuore dell’uomo. Non è certo per merito nostro e neppure per le nostre capacità che tutto ciò è possibile.

Ecco perché come cristiani siamo chiamati a tenere fisso il nostro sguardo su Gesù – e sono le parole dell’autore della Lettera agli Ebrei – e a resistere fino al sangue nella lotta contro il peccato. Se vogliamo esprimerci con parole diverse, proprio in quanto cristiani siamo chiamati a dire a tutti che una vita vissuta come quella di Gesù – “colui che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento” – è una vita piena e totalmente realizzata. Lui solo è riuscito a prendere tutto il male che assilla l’esistenza degli uomini e – attraverso la croce – a trasformarlo in bene, grazie alla sua fiducia e alla sua obbedienza piena e incondizionata al volere del Padre.

Anche noi siamo chiamati a vivere in questo modo la nostra umanità, nel quotidiano, nelle relazioni che siamo in grado di creare con gli altri e, ancora di più, con Dio stesso. Siamo chiamati a vivere in continua relazione con il Signore Gesù, con la sua persona e con la sua parola. Come Gesù da sé non può fare nulla, perché tutta la sua vita dipende dal Padre, così anche noi senza di lui non possiamo fare nulla.

E come Gesù compie le opere che il Padre gli ha affidato – mettendosi a curare, a guarire e a perdonare coloro che incontra – così anche noi siamo chiamati a compiere le opere di Dio e della sua misericordia se vogliamo riprodurre in noi la stessa vita di Gesù e vivere. Solo così potremo uscire dai sepolcri della nostra esistenza senza inquietudini per lasciarci raggiungere dall’inquietudine di Dio verso tutti noi e vivere della sua misericordia.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della Messa di domenica 18 settembre 2016, III Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore (Isaia 43,24c-44,3; Ebrei 11,39-12,4;

Giovanni 5,25-36), cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 19 settembre 2016