“NON CONFONDERE LA SIGNORIA DI DIO CON IL POTERE CIVILE”

Domenica 10 luglio - “Se sulla moneta di Cesare – scrive il prevosto - c’era la sua immagine e per questo a Cesare va restituita, sul volto di ogni uomo c’è l’immagine di Dio e a Dio soltanto ogni coscienza deve conformarsi e rendere conto.”


La storia del popolo di Israele – che stiamo ripercorrendo nelle sue tappe più importanti durante queste domeniche del Tempo dopo Pentecoste – è storia di “alleanza”. Dopo la creazione e l’esperienza del peccato dell’uomo, Dio ha chiamato Abramo e ha scelto Israele come sua proprietà particolare tra tutti i popoli, perché annunziasse a tutti il suo volto di misericordia. Oggi, però, abbiamo sentito dalla bocca degli israeliti una affermazione che contraddice questo disegno di Dio. Al termine della vita di Samuele – l’ultimo dei Giudici in Israele e il primo grande profeta – il popolo domanda un re che lo governi, portando questa motivazione: “Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti gli altri popoli”.

Dio aveva scelto Israele perché fosse la sua proprietà particolare, il suo popolo, ma Israele vuole essere come tutti gli altri popoli, non vuole essere governato e protetto da Dio, ma va alla ricerca di un re, di un uomo che lo possa comandare e guidare in battaglia. Alla fine, Dio deve cedere a questo desiderio e dice a Samuele: “Ascoltali: lascia regnare un re su di loro”. In questo racconto, che può sembrare molto lontano dalla nostra sensibilità attuale, in realtà sta un dilemma che ci tocca ancora oggi da vicino: quale rapporto esiste tra il potere umano e il potere divino? Ed è possibile esercitare un potere nel nome di Dio?

A questi interrogativi dà risposta Gesù nella pagina del vangelo di Matteo, quando viene interrogato dai suoi avversari – i discepoli dei farisei e quelli del partito di Erode – sulla liceità di pagare le tasse a Cesare. La domanda – che pure è corretta e importante – in realtà viene fatta per mettere in difficoltà Gesù. Se Gesù avesse risposto di non pagare il tributo a Cesare, si sarebbe attirato la condanna del potere romano, rischiando l’arresto e la stessa vita. Se, al contrario, avesse detto di pagarlo, avrebbe deluso tutte le attese della gente, che vedeva in lui il liberatore dal dominio e dall’oppressione romana.

Gesù, invece, come fa spesso, risponde alla domanda che gli viene posta con un’altra domanda. Anzitutto chiede di vedere una moneta romana e questa gli viene data proprio dai suoi avversari. Coloro che non riconoscevano l’autorità di Cesare, in realtà portavano con sé le sue monete, addirittura in un luogo sacro come era il Tempio. Poi, una volta ricevuta la moneta, Gesù chiede a chi gli sta di fronte di riconoscere l’immagine che vi è impressa, così da determinarne il proprietario. Infine, una volta riconosciuta l’immagine dell’imperatore, pronuncia quella espressione che è diventata proverbiale anche per noi: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Con questa semplice affermazione Gesù riconosce la liceità del potere di Cesare, cioè dello stato, e, allo stesso tempo, chiede di non confondere la signoria di Dio con il potere civile, per non creare delle situazioni che, alla fine, degenerano nell’ingiustizia, nella sopraffazione e nella violenza contro l’uomo stesso e la sua coscienza.

Questa lucidità di visione da parte di Gesù non sempre è stata compresa. Non lo ha fatto la Chiesa, lungo la sua storia, quando ha confuso il potere religioso con quello politico e ha preteso di imporre per legge ciò che può essere accolto solo dalla libertà della propria coscienza. Non lo fanno, ancora oggi, tutti quei fondamentalismi più o meno religiosi, che degenerano nel fanatismo e usano della violenza per imporre la propria visione del mondo. Ogni volta che il potere religioso si serve del potere politico come suo braccio armato e ogni volta che il potere politico cerca conferma e credibilità da parte del potere religioso, la parola di Gesù viene disattesa.

Che cosa debba fare un cristiano, invece, ci viene detto molto chiaramente dalle esortazioni dell’apostolo Paolo rivolte all’amico e collaboratore Timoteo. Paolo chiede “che si facciano domande, suppliche preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere”, non per ottenere qualche favore per sé o per la Chiesa e neppure per giustificare ogni azione politica, ma “perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.

Se sulla moneta di Cesare c’era la sua immagine e per questo a Cesare va restituita, sul volto di ogni uomo c’è l’immagine di Dio e a Dio soltanto ogni coscienza deve conformarsi e rendere conto. Per questo Paolo chiede di pregare anche per coloro che governano, perché tutto avvenga nel servizio degli uomini e ogni cosa sia fatta “senza collera e senza polemiche”. E proprio di questo abbiamo molto bisogno anche oggi.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Per leggere i testi delle letture della VIII domenica dopo Pentecoste (1Samuele 8,1-22; 1Timoteo 2,1-8; Matteo 22,15-22), cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 10 luglio 2016