Giovedì 28 Marzo

IMPARIAMO AD AVERE LO STESSO SGUARDO DI GESÙ SULLA CREAZIONE

Nelle domeniche dopo Pentecoste, secondo la recente riforma del lezionario ambrosiano e la tradizione da poco riscoperta, facciamo memoria dell’azione dello Spirito di Dio lungo tutto l’arco della storia della salvezza, iniziando dall’evento della creazione.

La pagina del libro del Siracide (Siracide 18,1-2.4-9a.10-13), che mette al centro della nostra attenzione proprio Colui che vive in eterno e che ha creato l’intero universo, ci pone alcuni interrogativi che sono fondamentali per la nostra esistenza: “Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? Qual è il suo bene e qual è il suo male?”. Sono interrogativi a cui non siamo più abituati, perché viviamo in una società dove conta sempre di più il fare e l’avere, non tanto l’essere. Quando però abbiamo il coraggio di fermarci un attimo e di interrogare la nostra esistenza, allora scopriamo – allo stesso tempo – la meraviglia della nostra vita e dell’intera creazione in cui siamo inseriti, insieme alla nostra piccolezza e fragilità.

Da qui l’invito di questo saggio di Israele a confidare nella misericordia di Dio, cioè nel cuore di Dio che guarda alla nostra miseria, alla nostra povertà, e ci custodisce con tutta la carica del suo amore, quello stesso amore che è la sorgente della nostra vita. Colui che ci ha creato e ci ha destinato a vivere per l’eternità è lo stesso Signore che volge la sua grande misericordia su ogni essere vivente. Questo è il buon annuncio che ci viene dato.

E questo stesso annuncio viene ripreso dalle parole di Gesù (Matteo 6,25-33) che, ammaestrando le folle, invita a confidare nella provvidenza di Dio, distinguendo bene tra ciò che è più importante – la vita e il corpo – rispetto agli strumenti che servono al loro mantenimento – il cibo e il vestito – senza lasciarsi schiacciare dalle preoccupazioni. Per fare questo abbiamo bisogno di avere lo stesso sguardo di Gesù sulla creazione che ci circonda. Egli stesso ci invita a farlo: “Guardate gli uccelli del cielo … Osservate come crescono i gigli del campo”. Lo sguardo di Gesù non si ferma alla realtà immediata, ma scorge dentro di essa e al di là di essa l’azione stessa del Creatore e Padre, di colui che rivolge la sua cura e la sua provvidenza verso tutti.

È lo stesso sguardo di Paolo (Romani 8,18-25) che, divenuto discepolo di Cristo, afferrato dalla sua grazia, non soccombe davanti ai drammi e ai problemi della creazione, ma sa rileggerli alla luce dell’azione di Dio, al punto da arrivare a dire: “Ritengo che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi”. Paolo, da vero discepolo e da uomo credente, è capace di leggere l’ardente aspettativa della creazione e di farla propria, accompagnando i gemiti e le sofferenze della creazione stessa con i gemiti interiori dello Spirito che fa dire ad ogni cristiano: “Nella speranza siamo stati salvati”. Da qui l’invito a perseverare.

Preoccupazioni, provvidenza e perseveranza. Sono questi i tre atteggiamenti su cui i passi della Scrittura ci invitano a riflettere. Le preoccupazioni e le sofferenze – che ci sono nella nostra vita e che segnano la stessa realtà della creazione – non devono essere ciò che guida la nostra esistenza.

A guidarci, invece, è la provvidenza del Padre che non dimentica nessuna delle sue creature e tanto meno i suoi figli, ai quali ha dato le primizie dello Spirito. Per questo – e solo per questo – possiamo vivere nella perseveranza: non perché confidiamo in noi stessi e nelle nostre povere forze, ma perché sappiamo di essere fatti oggetto, costantemente, della cura e della attenzione di Dio.

Facciamo nostri quei cinque imperativi che Gesù ci rivolge nella pagina evangelica: “non preoccupatevi” (ce lo dice per ben due volte, forse perché ci preoccupiamo troppo), “guardate”, “osservate”, “cercate”. Domandiamo al Signore e alla forza del suo Spirito di vincere ogni preoccupazione che assilla la nostra esistenza quotidiana. Chiediamo occhi nuovi, che sappiano guardare e osservare tutto ciò che ci sta intorno dalla prospettiva di Dio, l’unica che è veritiera. E non smettiamo di cercare “il regno di Dio e la sua giustizia”, cioè tutto ciò che ci mette in comunione con il Signore e dice il significato ultimo della nostra esistenza.

Solo questi atteggiamenti ci consentono di guardare alla piccolezza della nostra vita – anche se vivessimo più di cento anni, ci ha detto il Siracide, questo sarebbe ben poca cosa a confronto di un solo giorno dell’eternità – e di continuare a sperare, confidando nella grandezza della bontà e della misericordia di Dio. Facciamolo, secondo l’invito del Papa, in questo anno giubilare della misericordia. Facciamolo fin da ora in ogni Eucaristia, dove la grandezza e la potenza di Dio ci raggiungono nella debole forza di un pane spezzato, perché così diventi anche tutta la nostra esistenza.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Cernusco sul Naviglio, 29 maggio 2016