LA DISUGUAGLIANZA COMINCIA IN FAMIGLIA
Decisivo il numero dei figli e il lavoro della figura di riferimento. Nella spesa sociale complessiva quella dedicata alle famiglie, in Italia, copre solo il 4,1% del totale ed è tra le più basse d’Europa, in Germania è dell’11,4%, in Irlanda del 13,4%, tanto per avere un’idea. Inoltre, con una normativa che ancora non tiene in considerazione i poveri, solo il 16,5% di quella spesa viene beneficiato dalle famiglie a rischio di povertà.
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Nell’anno trascorso la spesa media complessiva per consumi delle famiglie è aumentata, poco, ma conferma un segnale di lenta ripresa, osservano gli esperti di mercato. Secondo l’Istat una famiglia ha speso mensilmente per i suoi acquisti 2 499 €, aumentando dello 0,4% il suo budget rispetto al 2014 e dell’1,1% rispetto al 2013. Il segnale ha un doppio volto: allegro per quanto riguarda i numeri dell’economia, triste, però, se lo analizziamo più a fondo.
Insieme all’aumento si
rileva una forte disuguaglianza nella popolazione e il report dell’Istat sulla spesa per
i consumi aiuta a osservarla nei suoi aspetti. La lettura ci consegna una forte
divaricazione. Se considerassimo la popolazione delle famiglie una torta e se
la dividessimo in cinque parti uguali, ci accorgeremmo che la quinta fetta
delle famiglie, quella più ricca, detiene il 39% della spesa complessiva,
più di quattro volte di quello che spende la prima fetta, quella più povera,
che è ferma all’8% della spesa, e più di tre volte di quanto spende la seconda
fetta, ferma al 12,8%.
Il rapporto offre poi una descrizione di queste disuguaglianze che sono dovute principalmente a tre fattori: il primo è territoriale, le famiglie del Sud e delle Isole spendono molto di meno delle famiglie del Nord e del Centro Italia; il secondo fattore è lavorativo, la possibilità di spesa delle famiglie è fortemente caratterizzata dalla condizione professionale della persona di riferimento, quando questa è senza lavoro la possibilità che la famiglia sia in sofferenza economica, e quindi con possibilità di spesa limitate, è molto alta; il terzo fattore è l’ampiezza familiare, il 44,8% delle famiglie con almeno cinque componenti si colloca nella fetta della popolazione più povera, e si legge nel rapporto: “le coppie con due figli e soprattutto quelle che ne hanno almeno tre presentano una distribuzione molto spostata verso i valori più bassi. Il 20% circa delle famiglie con tre o più figli appartiene infatti ai primi due quinti ( le prime due fette di torta), solo il 7,2% a quello più elevato”.
Queste osservazioni ci svelano almeno due indicazioni: in Italia le possibilità economiche sono fortemente legate al reddito di lavoro di una famiglia e poi la presenza di figli sposta verso il basso la condizione di spesa dei nuclei familiari. In entrambi i casi si sottolinea come la disuguaglianza nel nostro Paese si origini da una disattenzione verso le famiglie. Da una parte le famiglie dove c’è chi ha perso il lavoro o che vivono dove il lavoro non c’è, dall’altra le famiglie con figli.
Questo la dice lunga sulla visione politica del nostro Paese che non riesce a reagire alla crisi demografica. Si pensi che nella spesa sociale complessiva quella dedicata alle famiglie copre solo il 4,1% del totale ed è tra le più basse d’Europa, in Germania è dell’11,4%, in Irlanda del 13,4%, tanto per avere un’idea. Inoltre, con una normativa che ancora non tiene in considerazione i più poveri, solo il 16,5% di quella spesa viene beneficiato dalle famiglie a rischio di povertà, il resto è dato dalla combinazione di detrazioni e deduzioni che favoriscono quelli che un reddito ce l’hanno e che ce l’hanno di un certo livello.
Andrea Casavecchia per Agenzia SIR
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Cernusco sul Naviglio, 11 luglio 2016