“NOI PROVIAMO MOTIVO DI SCANDALO DAVANTI ALL’AGIRE DI GESÙ?”

Il Prevosto: «La pagina evangelica della terza domenica d’Avvento (Luca 7,18-28) riporta una parola di Gesù che ci interroga personalmente: “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”.»

Gesù pronuncia queste parole - “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo” - rivolto ai due discepoli inviati da Giovanni Battista, per avere spiegazioni sul mistero della sua persona. Ma oggi questa affermazione interroga anche noi: siamo sicuri di essere destinatari di questa beatitudine, oppure noi stessi proviamo motivo di scandalo davanti all’agire di Gesù? Giovanni, inviando due suoi discepoli a Gesù, mostra di avere qualche dubbio sulla sua persona e domanda che gli venga chiarito. Questo grande personaggio – che incontreremo ancora nella quinta domenica di Avvento come “il Precursore” del Messia – si trova in carcere ed è ormai al termine della sua vita. Di lì a poco verrà fatto uccidere da Erode Antipa, per le accuse che egli aveva rivolto contro di lui. In questa situazione estrema, viene a sapere delle opere che Gesù compie – “fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose” – e rimane ancora più sconcertato.

Che cosa aveva compiuto Gesù che poteva procurargli scandalo e meraviglia? Poco prima – secondo l’evangelista Luca – Gesù aveva guarito il servo di un centurione, ma allo stesso tempo, aveva anche lodato la fede di quest’ultimo, un pagano, arrivando a dire di non averne mai trovata di così genuina, neppure in Israele. Aveva poi fatto risorgere un ragazzo morto, figlio unico di una madre vedova, ma per farlo si era avvicinato al suo cadavere e lo aveva addirittura toccato, contravvenendo così alla Legge e contaminandosi.

Gesù aveva dunque manifestato dei segni di potenza – la guarigione di un malato grave e la risurrezione di un morto – come Giovanni si aspettava, ma aveva anche fatto gesti di apparente debolezza e infedeltà alla Legge: perché interessarsi di un pagano e lodare la sua fede? Perché toccare il cadavere di un morto, quando avrebbe potuto guarirlo a distanza? Gesù, facendo questo, mostrava di essere realmente il Messia atteso e di portare la misericordia e la bontà di Dio tra gli uomini, ma – allo stesso tempo – andava contro le regole stabilite, rompendo i canoni che tutti si aspettavano, specialmente i benpensanti, i puri e gli intransigenti. Ecco da dove nasce lo scandalo.

Già in precedenza, però, era successo questo. La lettura del profeta Isaia (Isaia 45,1-8) ci ha presentato nientemeno che la scelta di Dio di presentare un re straniero, il grande Ciro, quale l’Unto del Signore, il suo eletto. Un imperatore persiano, che non conosceva il vero Dio, viene da Dio stesso presentato come suo inviato: “Ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall’oriente e dall’occidente, che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri”. Che Dio si serva di un non credente – uno che non lo conosce – per essere rivelato agli uomini, questo è davvero paradossale. Tutto questo sta a dire che l’agire di Dio ci supera sempre, è sempre imprevedibile. Dio porta a compimento le sue promesse, ma lo fa – il più delle volte – non secondo i nostri criteri, ma a modo suo, liberamente.

È stata questa anche l’esperienza di Paolo e l’abbiamo sentita dire proprio da lui, in quel sofferto passaggio della lettera ai Romani (Romani 9,1-5). Paolo riconosce di appartenere a un popolo del tutto singolare: “Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo – cioè il Messia – secondo la carne”. Eppure questo popolo non ha riconosciuto in Gesù il Messia e lo attende ancora, mentre Paolo, afferrato da Cristo, si è sentito separato da questo popolo, e vorrebbe essere egli stesso anatema a suo vantaggio. Paolo ha riconosciuto in Gesù quel Messia a lungo atteso da Israele, mentre Israele ne è rimasto scandalizzato, così come lo era stato lo stesso Paolo, all’inizio, e, prima di lui, anche Giovanni il Precursore.

Siamo sicuri, però, che l’atteggiamento iniziale di Paolo e quello di Giovanni Battista, non siano anche il nostro modo con cui ci accostiamo all’agire libero di Dio? Siamo davvero sicuri che il comportamento di Gesù, la sua attenzione verso gli ultimi e gli esclusi, così come la sua capacità di cogliere la vera fede anche là dove noi non ce lo aspettiamo, non siano motivo di scandalo anche per noi, cristiani del terzo millennio? Non è forse vero che quando il Vangelo – e chi lo testimonia con la vita – tocca il nostro modo ordinario di agire, noi siamo capaci di accampare ogni tipo di scusa per potere fare diversamente, magari anche criticando chi cerca di vivere una vita realmente evangelica? Siamo disposti a cambiare il nostro modo di pensare, come ha fatto Giovanni, per arrivare a riconoscere in questo Gesù “le profezie adempiute”, oppure vogliamo cambiare la parola di Dio perché assecondi le nostre idee? È questa la domanda a cui non possiamo sottrarci.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

Letture della III Domenica d’Avvento: Isaia 45,1-8; Romani 9,1-5; Luca 7,18-28

Cernusco sul Naviglio, 29 novembre 2015