S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

In questa domenica la nostra Chiesa ambrosiana celebra la famiglia di Nazareth e festeggia le nostre famiglie. Notiamo come la collocazione di questa festa nel tempo dopo il Natale non sia insignificante. Questo tempo dopo il Natale ci fa vivere il mistero dell'Incarnazione, cioè il venire di Dio dentro la nostra umanità. L'incarnazione è così vera, così concreta che il Figlio di Dio ha amato con cuore d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha lavorato con mani d'uomo, ha voluto avere una famiglia. L'evangelo di oggi ci ricorda che Gesù scese a Nazareth con Maria e Giuseppe ed era loro sottomesso e in quel contesto cresce in sapienza, età e grazia. Sono circa trenta lunghi anni di quella che viene chiamata “vita nascosta” di Gesù.

Di questi lunghi anni i Vangeli non ci hanno raccontato nulla ad eccezione della pagina odierna. Per trent'anni Gesù conduce una vita assolutamente ordinaria. È singolare come nei cosiddetti Vangeli apocrifi questi anni siano invece raccontati con dovizia di particolari meravigliosi. La vita, i giochi del fanciullo Gesù sarebbero stati costellati di ingenui deliziosi episodi miracolosi… E invece quegli anni sono trascorsi nella più assoluta normalità, con una sola parentesi: l'episodio odierno che, non a caso, è situato non già nel nascondimento di Nazareth ma in Gerusalemme, nel Tempio.



Luca, già con questo episodio anticipa l'intenzione che guiderà l'intera esistenza di Gesù: camminare verso Gerusalemme, termine e senso della sua vita e della sua missione. Gesù si trattiene nel Tempio, in occasione del pellegrinaggio tanto caro alla pietà ebraica, e spiega questo suo comportamento con una difficile parola, tanto difficile che, nota l'Evangelista, né Giuseppe né Maria la comprendono. Gesù, con questa ardua parola, disvela la misteriosa profondità della sua esistenza, la sua vocazione, il suo esser chiamato ad una via non ordinaria.

Mi chiedo perché la Chiesa ci propone nella festa della famiglia questa pagina che ha un sapore “trasgressivo”? Gesù si sottrae ai doveri della famiglia in nome di una vocazione incomprensibile per Maria e Giuseppe.

Questa pagina ci dice che compito fondamentale della famiglia è quello di aiutare i suoi membri a scoprire e realizzare la propria vocazione. La famiglia, come nido, ha certo un compito protettivo e formativo ma allo scopo di creare il coraggio di giocarsi nella vita. Più che un nido deve essere un trampolino di lancio. Ogni famiglia vive, come Maria e Giuseppe, la fatica di comprendere il futuro dei propri figli evitando di farne semplicemente la copia delle proprie attese. Trovo coraggiosa, quasi provocatoria questa pagina evangelica letta nella festa della famiglia.



Ma questa pagina ci ricorda anche che compito proprio della famiglia è quello d'esser luogo di trasmissione non solo della vita ma anche delle ragioni che rendono significativa la vita. Tra queste ragioni, la fede. Chiediamoci: da chi io ho conosciuto il Vangelo, chi me ne ha parlato? Chi ci ha accompagnati non già al Tempio di Gerusalemme ma nella chiesa del nostro battesimo, della prima comunione… Vengono subito alla mente dei volti, quelli dei nostri familiari. Come per Gesù i volti di Maria e Giuseppe. Il Vangelo è giunto fino a noi perché altri ce lo ha trasmesso, ce lo ha comunicato. I nostri familiari sono stati certamente i nostri primi educatori alla fede. Noi apparteniamo ad una lunga storia di credenti-comunicatori.

Nasce qui la responsabilità del credente adulto, del genitore: San Paolo ha una espressione efficace: «Ho creduto e perciò ho parlato» (2 Cor 4, 13). Non si può non comunicare quella fede che ci è stata donata. Il venir meno di un contesto ambientale che quasi automaticamente educava alla fede - assorbita con il latte materno - impone un lavoro di formazione della coscienza perché l'esperienza della fede sia frutto di una libera e consapevole adesione. E la famiglia, grazie alla trama di relazioni umane intense e stabili, può essere il terreno privilegiato per interpellare la coscienza.

Spesso la famiglia si ritiene impari al compito educativo perché soverchiata dalla forza invadente di altre agenzie “educative” (scuola, comunicazione di massa, ecc.). Eppure la famiglia, quando può contare su legami profondi di dedizione reciproca, dispone di un tessuto essenziale per il costituirsi della personalità e quindi per il compito educativo. Non ci sono grandi rami senza radici profonde: senza adulti maturi nella fede non ci sarà trasmissione della fede per le giovani generazioni.

don Giuseppe Grampa dal sito www.liturgiagiovane.org (immagine di copertina dal sito www.pixabay.com )


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