ALZIAMO GLI OCCHI AL CIELO
L’avvento è il tempo della profezia e racconta una storia di esodo, di un cammino che ci invita ad uscire da langhe di schiavitù e di morte, verso terre di libertà e di vita. E lui, il profeta, è l’immagine stessa di Israele, metafora dell’individuo che non si ferma e continuamente ricerca il compimento della storia, il compimento della propria vita, ricerca un po' di sapienza. La storia che ci ha preceduto è ora giunta al tempo del suo compimento: Verbum caro factum est. Nelle tenebre del mondo, nel mistero dell’iniquità del mondo, è apparsa una luce, il Verbo si è fatto carne. “Un bambino è nato per noi”, dirà il profeta. Dall’antico al nuovo, un bambino, una novità è consegnata a noi, non ci è consegnata una cosa vecchia, ma una novità. È una luce, improvvisa e intensa che irrompe per farci da stella, da guida, per aiutarci a riconoscere il “Dono”. Al suo brillare tutta la creazione assume una nuova forma. È il compimento di tutto il creato, di ogni terra, di ogni popolo, per tutte le genti, nessuno è escluso da questo compimento, da questa vicenda, tutto il creato è cambiato, il mondo intero esulta di gioia. Allora, lasciamoci veramente guidare, all’inizio di questo cammino di avvento dalla grande suggestione della parola che ci viene donata anche in questa domenica, parola che parla della storia di questo creato, che dice la sofferenza del male, dell’odio, delle guerre. “L’iniquità del mondo raffredderà l’amore di molti” dice il vangelo.
Quindi la storia ci racconta anche dell’amore che si raffredda per l’iniquità del mondo, per l’iniquità delle tenebre. Il male che facciamo e incontriamo non ci lascia indifferenti, il male raffredda la nostra fede. Ecco perché c’è sempre bisogno di esercizi di bene. Abbiamo bisogno di esercizi di bene per contrastare questo mistero che c’è, esiste, indipendentemente da tutto. Ma per coloro che avranno perseverato fino in fondo, sarà la salvezza. Come facciamo a perseverare davanti all’iniquità del mondo? Ci vengono in aiuto le letture che abbiamo ascoltato, primo fra tutti Isaia, il grande profeta, che ce lo ricorda ad alta voce: “Alzate gli occhi al cielo, perché c’è una salvezza per tutte le generazioni!” In primo luogo perseveranza è alzare lo sguardo in alto. Non si può perseverare nella fatica dell’oggi senza una speranza nel cuore, senza uno sguardo capace di non farsi imprigionare da tante cose e di cercare sempre il cielo.
Al di là delle nostre piccole o grandi beghe quotidiane che ci incattiviscono, ci intristiscono, c’è un vasto orizzonte verso il quale puntare lo sguardo. Guai a fidarci di ciò che ci circonda, guardiamo in alto! San Paolo ci dice: “Rendete sempre grazie al Signore!” Perseverare vuol dire rendere sempre grazie al Signore. Essere cristiani significa questo: essere perseveranti nel rendere grazie e nel raccontare buone notizie al mondo. Un bimbo è nato per noi. L’iniquità del mondo la si vince con la tenerezza, l’iniquità del mondo la si supera col rendere grazie. Questo è l’avvento più bello che possiamo fare. Impariamo ogni giorno a rendere grazie dentro le fatiche del quotidiano: questa è la luce che siamo chiamati a testimoniare. È così che il Signore ci induce ad iniziare bene questo cammino di avvento, questo passaggio dalle tenebre alla luce.