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Don Luciano, gennaio. La fede in Dio torni ad essere centrale nella nostra vita   

Venerdì 19 Aprile

UN FULMINE A CIEL SERENO


In quella domenica mattina, di tarda primavera, quando il sole ti dava la gioia di vivere, lasciando alle spalle l’inverno, tu non avevi altro pensiero che la vita fosse bella, con la voglia di correre sino all’infinito e nello sguardo del futuro leggevi armonia e libertà.
Quel giorno di festa, come tanti altri, una famiglia stava approntando tutte quelle occasioni d’incontro con amici e associazioni, perché la giornata fosse felice.
Il marito, era un omone poco più che cinquantenne che lavorava in Comune, era molto affettuoso e pronto ad aiutare gli altri, poi c’era una moglie impiegata presso un’azienda e due figli rispettivamente di 18, una ragazza, e 22 anni, il fratello maggiore. Finalmente a pranzo tutti insieme si trovarono a gustare cibi e affetti.
Ad un certo momento, la mamma sbuffò due volte e disse, con aria triste, ma non eccitata, sono stanca. Ognuno fece una domanda per capire e dare un consiglio per alleviare quel momento. La donna, allora, ripeté: “sono stanca di questa famiglia e me ne vado”. Tutti pensarono ad uno scherzo, ma non era tale e cercarono il senso di quelle parole. La cronaca dice che non passarono che pochi minuti solo per ribadire le intenzioni ed alzatasi se ne andò. Dimenticavo di dire che il marito, tre anni prima, aveva avuto sentore che sua moglie avesse allungato lo sguardo per qualcun altro, ma in casa la donna non dava segni particolari. Quella decisione ebbe lo stesso effetto di un fulmine che sconvolse tutti, in particolare la figlia che andò a rifugiarsi dalla nonna, degna di fiducia, mentre il ragazzo andò altrove lasciando alle spalle sgomento e tanta incertezza per affrontare un futuro.
Lasciamo ognuno sulla strada della propria esistenza e camminiamo con loro con il cuore appassionato della nostra preghiera, sperando che il dolore non distrugga queste vite, ma quella sofferenza sia redentiva, anche per chi ha sbagliato. Gesù è venuto per trasformare il peccato in gioia di vita nuova e, se anche noi non vedremo un epilogo a modo nostro, il nostro cuore, perso nella croce di Gesù, otterrà i suoi risultati, spesso contro ogni evidenza ragionevole.
Qui ci poniamo tante domande, come: potranno vivere i ragazzi ed il padre con la morte nel cuore spezzato? quali saranno le ragioni di impegnarsi per formare una nuova famiglia?   L’eventuale prossima famiglia troverà questi ragazzi maturi per un futuro di sé e degli altri?  Cosa racconteranno ai propri figli: la paura di un cammino che ad ogni svolta, la parola fine, frantumi delle vite, oppure saranno capaci di maturare e di trasformare, la vita propria e quella degli altri, di bellezza in bellezza? Mi dicono che un bosco bruciato dalle fiamme non vedrà il primo segno di vita se non dopo cent’anni e un bosco è una vita bruciata, uno spettacolo contro ogni desiderio di vita.
Oggi è la solennità della divina Trinità e tra le forme d’arte, dalle mani di un monaco russo, Andrej Rublëv (1360-1430), è uscita un’icona rappresentata da tre uomini con lo stesso volto, seduti ad un tavolo, con un quarto lato libero.  Questa immagine ricorda l’incontro di Abramo con tre visitatori accolti con ogni premura e grande festa.  Abramo non sapeva che fosse il Signore, noi diremmo in forma trinitaria, mentre costoro, in segno di riconoscenza, promisero a lui la nascita di un figlio, benché Abramo fosse in età avanzata. Sara, la moglie di Abramo, rise ed il figlio promesso arrivò puntualmente l’anno successivo, al quale diedero il nome di Isacco, colui che ride. Il dono degli ospiti fu tale da rovesciare la propria vita nella vita di questi coniugi, come chi cammina lascia l’impronta sulla sabbia, così l’impronta della vita trinitaria rimane a immagine e somiglianza nella carne degli uomini.  La famiglia è il dono più grande dato all’umanità, perché come Dio è amore, lo stesso Amore è potenza di maturazione per una crescita di coppia, chiamata a significare la visibilità dell’Amore. Il lato vuoto dell’icona aspetta ciascuna famiglia al banchetto della Vita, per la gioia della vita eterna. La storia di questo universo è il racconto di tutte le meraviglie di Dio e noi camminiamo su questo sentiero, con l’originalità di ciascuno, che narra l’infinita bellezza del Creatore attraverso il fulmine dell’amore che ogni essere incontra nel giorno del proprio concepimento.
Spezzare una famiglia è rompere questa meravigliosa storia e diventare un refuso di un pianeta che brucia le scorie di una vita insignificante.  Siamo nati per essere costruttori della storia più bella dell’universo, che non può essere omologabile a qualsiasi altra realtà; siamo nati perché il dono della Vita è quella luce che costituisce il sentiero del tempo quotidiano; siamo nati perché L’Amore rispecchiandosi nell’amore, sulla terra potesse baciare la tenerezza trinitaria della famiglia.

Paolo Fiorani