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PADRE EFREM: “MIGRAZIONI, OCCORRE PARTIRE DA UN’ANALISI PIÙ PROFONDA DEL FENOMENO”

«In questo momento, in cui c’è un’intensa campagna mediatica contro i migranti, vale la pena ricordare e approfondire le ragioni per le quali la gente scappa dal proprio Paese d’origine»: è l’invito che il concittadino padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, “il mensile dell’Africa e del Mondo nero” dei missionari comboniani, ha rivolto, domenica 17 giugno, ai Cernuschesi presenti all’incontro a Villa Fiorita.

Padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia

«Non solo ricordare e approfondire, ma cercare anche di capire che alcune parole trite e ritrite, non significano niente» - ha quindi spiegato Tresoldi al gruppetto di persone che domenica 17 giugno, nel tardo pomeriggio, l’ha incontrato e ascoltato alla “Festa della bicicletta” all’area feste di Villa Fiorita - perché parlare di «‘invasione di migranti nel nostro Paese’ non ha alcun senso, se confrontiamo la nostra realtà con quella di diverse nazioni africane dove veramente si può parlare di invasione perché i numeri lo dicono. Mentre si tratta di poche decine di migliaia di persone che approdano da noi, ci sono Paesi in Africa con risorse infinitamente minori del nostro che accolgono centina di migliaia, milioni, di rifugiati o di migranti che fuggono dalla guerra, dai cambiamenti climatici, dal terrorismo, da regimi dittatoriali.»

«È importante dire questo – ha proseguito padre Efrem - perché dobbiamo saper collocare nel contesto giusto un fenomeno, quello migratorio, che comunque è una grossissima crisi umanitaria. Occorre collocarlo in un contesto più ampio, perché se perdiamo le proporzioni rischiamo di scambiare il moscerino con l’elefante. Ci troviamo, infatti, di fronte ad una realtà mediatica, come quella attuale, che cerca di far apparire lucciole per lanterne. Se, invece, vogliamo approfondire il fenomeno - e questa è la difficoltà maggiore – dobbiamo vedere il contesto generale, per comprendere il perché di quello che sta accadendo.»

La campagna mediatica contro le ong - che sta montando in questi giorni nel nostro Paese, accusate di essere in combutta con gli scafisti e i trafficanti di migranti - è per il direttore di Nigrizia “una pura fantasia. Perché la gente fugge, in questo caso, dalla Libia, dai suoi centri di detenzione che sono un inferno. Fugge perché disperata e non perché, dopo aver pagato i trafficanti, vuol tentare la fortuna. Fugge perché mossa dalla disperazione: dicono ‘dopo tutto, qui si muore, tentiamo la traversata da morte probabile per fuggire da una morte certa’. Cosa faremmo noi? Cosa faresti tu? Faremmo la stessa cosa. Perché la vita è una sola.»

«Conflitti e guerre – è il passaggio successivo dell’analisi di Tresoldi – sono i fattori principali di espulsione dall’Africa», con responsabilità ben precise. «Non dimentichiamo – evidenzia padre Efrem - che la Francia è stata la prima ad attaccare, nel 2011, la Libia e a portare al disastro a cui oggi assistiamo: uno stato che non è più uno stato, essendo diviso in tre parti dove non sono le istituzioni a governare, ma le milizie a primeggiare. Una sfascio completo. Su questo dovremmo ancora riflettere: ci sono delle responsabilità storiche che hanno delle conseguenze attuali e quindi dovremmo prendere coscienza di come stanno le cose prima di sparare giudizi. Anche l’Italia ha partecipato alla distruzione della Libia: la missione militare italiana, nello stesso anno, ha compiuto il maggior numero di raid aerei. Questo non lo dobbiamo dimenticare! Non è che noi ci sentiamo invasi perché la gente ha detto che ‘l’Italia è il miglior Paese dove poter migrare’. No! Ci sono, invece, delle ragioni storiche e politiche che hanno motivato questo esodo di massa.»

Padre Efrem poi ha rivolto la sua attenzione ad alcune nazioni africane dove maggiormente si avverte il peso delle guerre, dei conflitti e delle migrazioni. È partito dalla Repubblica Centraficana, di fatto, ancora oggi, benché indipendente, una colonia della Francia, che controlla il Paese attraverso il sostegno alle milizie ad essa favorevole. Poi è passato al Camerum, dominato da trent’anni da una dittatura, dove permane una situazione di conflitto tra la maggioranza della popolazione di lingua francese e una minoranza inglese e dove noi esportiamo armi: «L’Italia dovrebbe impegnarsi per far regnare la pace e non per fornire armi. Noi non possiamo dire che siamo estranei al fenomeno migratorio – la sottolineatura del direttore di Nigrizia - quando poi esportiamo armi in Paesi che vivono in situazioni drammatiche e di emergenza umanitaria.» Successivamente ha accennato alla Repubblica democratica del Congo, al Senegal, al Congo Brazzaville e all’Etiopia, Paesi nei quali la Cina sta accaparrando le loro ricchezze. «L’Africa è tuttora territorio di conquista. Come lo è stata con il colonialismo – ha ricordato Tresoldi - continua ad esserlo ancora oggi. Non una zona di sviluppo, ma semplicemente un continente da predare, da ripulire delle proprie ricchezze, così da lasciare la gente ancora più immiserita.»

La volontà dei governi europei di creare degli hotspot, centri di identificazione e selezione in Africa, è un altro argomento ricorrente nei dibattiti sull’immigrazione. A questo proposito, Tresoldi si è chiesto: «Mi piacerebbe capire quando si chiede ad una persona se ‘scappa dai proiettili o dalla fame’ come si fa a distinguere migranti economici, ‘questi non li accogliamo’, da quelli che fuggono dalla guerra, ‘questi li possiamo accogliere’. Scappano entrambi dalla morte!» Ma poi, «dove li mettiamo gli hotspot?», «in Eritrea, dove c’è una dittatura feroce, senza alcun rispetto dei diritti umani, dove la polizia è spesso complice della fuga di molti minorenni? In Sud Sudan, l’ultimo Paese africano a diventare indipendente, dove è esplosa la guerra civile, prima per il potere e poi per ragioni etniche? Quando si dice ‘aiutiamoli nel loro Paese’ come si può farlo se, per la gente, non ci sono le condizioni minime di sicurezza per vivere, quando non c’è pace, quando non c’è la possibilità di continuare a sperare?»

Ma gli hotspot, per i loro fautori, dovrebbero servire anche per combattere il terrorismo. «Dalle analisi condotte – ha evidenziato il direttore di Nigrizia - i giovani che in Niger si arruolano nei movimenti islamici lo fanno non perché manca il lavoro o perché sono indottrinati da qualche iman radicale ma, ecco la ragione principale, per gli abusi subiti per mano della polizia e dei militari. Noi vorremo fare dei patti con il governo del Niger che è alla radice, la causa, del terrorismo islamico

«In questo momento così difficile - è stata la raccomandazione finale di padre Efrem - dobbiamo cercare di essere più forti, di argomentare le nostre posizioni. Partire da un’analisi più profonda dei fenomeni, dalle cause strutturali che sono alla base delle migrazioni. Che è un fenomeno mondiale, che va a lambire economie già fragili, che tocca solo in piccola parte anche il nostro Paese. È importante mantenere le proporzioni e vedere il fenomeno in un contesto più ampio per poterlo comprenderlo e affrontarlo.»

Cernusco sul Naviglio, 18 giugno 2018