Giovedì 28 Marzo

“GESÙ È IL VERO, IL BELLO E IL BUON PASTORE”

Domenica 7 maggio – “Gesù è l’unico a non trattenere per sé la propria vita – commenta il prevosto - ma a darla per noi, per gli uomini, amici e nemici, e a offrirla in abbondanza”

Gesù risorto, che è presente tra di noi, nella sua Chiesa, lo abbiamo incontrato la scorsa domenica come “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, secondo le parole di Giovanni il Precursore. Questa domenica è lo stesso Gesù, nel Vangelo secondo Giovanni, che ci si presenta come “il buon pastore”. Nel testo greco, di per sé, abbiamo una parola molto più ricca – kalòs – che andrebbe tradotta almeno in tre diverse modalità: Gesù è “il pastore, quello buono”; Gesù è “il pastore, quello vero”; Gesù è “il pastore, quello bello”. Gesù è il vero, il bello e il buon pastore. Attraverso di lui, accostandoci all’Eucaristia – come ci è data la possibilità di fare ogni domenica, nel giorno del Signore – noi ci accostiamo al vero, al bello, al buono. E in una società come la nostra, dove la verità, la bellezza e la bontà non sembrano essere normalmente di casa, ne abbiamo assolutamente bisogno.

Perché Gesù, e solo lui, è “il buon pastore”, ce lo dice lui stesso: perché egli è l’unico a non trattenere per sé la propria vita, ma a darla per noi, per gli uomini – amici e nemici – e a offrirla in abbondanza: “Il buon pastore dà la vita per le pecore”. Di per sé, a nessun pastore è richiesto di compiere questo atto supremo. Anzi, un pastore intelligente, se non vuole perdere tutto il gregge, non mette a repentaglio la sua vita per salvare una pecora, ma è disposto anche perderne qualcuna, pur di salvarne altre. Gesù non ragiona secondo questi calcoli umani. Sa che solo nella donazione totale di sé – nel dare la sua vita – è possibile ridare vita a tutti.

Gesù, “il pastore, quello vero” - Per questo Paolo, scrivendo la sua Lettera ai Romani, può affermare con sicurezza, citando la Scrittura, che “Chiunque crede in lui non sarà deluso” e “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”. Anche noi, oggi, ascoltando la sua voce e riconoscendoci parte del suo gregge, sappiamo di non venire mai traditi né abbandonati da lui. Tante altre persone, sulle quali facciamo affidamento, spesso deludono le nostre attese e ci lasciano soli in mezzo alle difficoltà. Per Gesù non è così: egli non è un mercenario, ma il buon pastore. E noi abbiamo bisogno di uomini e di donne che mettano la propria vita al servizio del Vangelo, per poter dare voce a questo annuncio di speranza. Ecco perché oggi, con tutta la Chiesa, celebriamo la Giornata mondiale per le vocazioni (quelle definitive, che mettono in gioco la propria vita nel matrimonio, nella consacrazione a Dio, nel sacerdozio). Solo se ci sono uomini e donne disponibili a portare con la loro vita questo annuncio nuovo del Vangelo, a tutti sarà data la possibilità e la gioia di incontrarsi con Gesù, “il pastore, quello vero”.

Lo spirito della Chiesa delle origini - Ma perché ciò avvenga, abbiamo bisogno di coltivare nelle nostre comunità lo spirito della Chiesa delle origini, quello spirito di cui ci ha parlato la pagina degli Atti degli Apostoli. Quello che viene lì descritto è un momento di difficoltà per la prima comunità cristiana. Fin dal suo sorgere si manifestavano divisioni e preferenze, fonte di scontento e di mormorazione. Nell’assistenza quotidiana i più poveri – le vedove “di lingua greca” – venivano trascurati. Invece di fomentare il rancore e la divisione, i Dodici e il gruppo dei discepoli – cioè tutta la comunità cristiana radunata insieme – fanno una duplice scelta: davanti alle difficoltà, è necessario mettersi in un più profondo ascolto della parola di Dio e guardare con più attenzione ai bisogni di chi è lasciato ai margini e all’ultimo posto.

Tutte due le scelte sono importanti e non si può fare l’una senza l’altra. I Dodici affermano che non è giusto lasciare da parte la parola di Dio per servire le mense, ma – allo stesso tempo – vanno alla ricerca di nuove persone (sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza) che si facciano carico dei poveri, attraverso la scelta del servizio gratuito e incondizionato. È la nascita di quella particolare vocazione nella Chiesa che andrà sotto il nome di “diaconi”, cioè servitori.

Noi oggi facciamo fatica a risolvere le nostre divisioni e difficoltà – sia come società civile, ma anche come Chiesa – perché non sappiamo tenere insieme queste due dimensioni, quella dell’ascolto e quella del servizio. Solo chi si mette in religioso ascolto della parola di Dio, infatti, è capace di udire anche il grido del fratello e non lo vede come un pericolo o un nemico, ma una persona da assistere nella sua fragilità, qualunque essa sia. È questa la grazia che domandiamo al Signore durante l’Eucaristia, per la nostra comunità cristiana e per l’intera società civile, chiedendo di suscitare ancora in mezzo a noi uomini e donne che, attenti alla voce dello Spirito, sappiano farsi carico delle attese dei fratelli. Solo così saremo in grado di obbedire alla parola di Gesù: “Fate questo in memoria di me”, cioè: “Abbiate il coraggio di offrire anche voi la vostra vita per gli altri, come ho fatto io”.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”

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Cernusco sul Naviglio, 7 maggio 2017