DON LUCIANO, APRILE. Con la Pasqua si passa dal non-essere all’essere, dall’inferno al cielo, dalla morte all’immortalità

Carissimi,
si avvicina la Pasqua: “Giorno della risurrezione, risplendiamo, o popoli: Pasqua del Signore, Pasqua! Dalla morte alla vita, dalla terra ai cieli, ci ha fatti passare il Cristo Dio, cantando l’inno di vittoria. Purifichiamo i sensi, e vedremo il Cristo sfolgorante dell’inaccessibile luce della risurrezione, lo udremo chiaramente dire: Gioite! e canteremo l’inno di vittoria. Si allietino, ben giustamente, i cieli, ed esulti la terra! Sia in festa tutto l’universo, visibile e invisibile: per ché Cristo è risorto, eterna letizia!” (S. Giovanni Damasceno - dal canone della liturgia bizantina).
Celebrare la Pasqua per noi cristiani è motivo di festa e di gioia perché è la celebrazione di Gesù vivo che vince il dramma della morte. Ma, nel nostro tempo, siamo tentanti di credere che non sia così perché il tanto male che si vede attorno a noi e che talvolta portiamo sulle nostre spalle ci fa domandare: “ma Dio dov’è?” Possiamo essere felici se l’ombra della morte incombe su di noi con tutti il suo carico di pessimismo e fatica?
Non è facile rispondere a queste domande, e non è facile non cadere nella tentazione di uno scoraggiamento che può portarci alla delusione e allo sconforto. Davanti al dramma della guerra, di intere popolazioni private del necessario, davanti al dolore innocente dei bambini o di chi soffre senza un apparente motivo è ancora possibile dire nella gioia: Cristo è risorto ed è qui?
Talvolta non riusciamo a chiamare per nome questo malessere e lo confondiamo semplicemente con un silenzio di Dio quasi che lui ne fosse addirittura il responsabile. In realtà l’umanità, nella sua condizione decaduta dopo il peccato originale, si trova per i viventi come per i morti, sepolta nell’inferno come modalità di esistenza, un inferno che non è creazione di Dio, ma espressione dello stato di separazione da Dio in cui sussiste l’umanità.

Allora la domanda vera da porci è questa: da che cosa Dio ci ha riscattati? Da cosa è venuto a liberarci per cui diciamo che è morto per noi trasformando la croce da strumento di morte a strumento di salvezza? Dio ci ha liberato semplicemente dall’inferno. Cristo assumendo la solitudine della morte ci introduce nella vita vera, nella luce sfolgorante dell’eternità dove le tenebre, la morte e la solitudine non esistono più. E nella nostra storia umana, quella di tutti i giorni, nella nostra esistenza il luogo in cui la porta dell’inferno è definitivamente distrutto, il luogo in cui la luce pasquale invade tutte le zone di esistenza, è la Chiesa. Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa perché la Chiesa come sacramento di Cristo, già vincitore di Satana, è il luogo in cui le porte dell’inferno non si richiuderanno più sull’uomo.

Cristo non ci ha donato una generica vita buona in terra ma l’unica vera vita che come la sua è eterna perché è la vita stessa di Dio. Questo è il senso della salvezza e questo è il principio basilare della nostra fede. Perdere di vita questo vero obiettivo alla lunga si perde la fede in Dio perché è privata del suo significato autentico.

In ebraico pesach significa passaggio. Questo passaggio si fa in Cristo poiché in lui si uniscono per sempre l’umano e il divino, il cielo della presenza divina e la terra degli uomini. Con la Pasqua si passa dal non-essere all’essere, dall’inferno al cielo, dalle morte e dalla corruzione all’immortalità.
Cristo ci libera dall’angoscia fondamentale, che ci produce affanno, fughe e passioni idolatriche. Al fondo di noi, in queste tenebre in cui egli è disceso e non smette di discendere, egli trasforma l’angoscia in confidenza, la memoria della morte in memoria della risurrezione. (O. Clèment)

Nella Chiesa e con la Chiesa gridiamo: Cristo è risorto, Alelluia!

Buona Pasqua.
don Luciano