“IO CREDO CHE CRISTO È RISORTO?”

Domenica 16 aprile – “Forse noi proclamiamo a parole che Cristo è risorto – commenta il prevosto - ma nei fatti ci comportiamo come Maria di Magdala, in quel primo mattino di Pasqua.”

In questa domenica celebriamo la festa che dà origine a tutte le feste: la Pasqua del Signore. “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati”, scrive l’apostolo Paolo subito dopo il passo della Prima lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato (1Cor 15,17). Senza la risurrezione noi non potremmo esistere, non ci sarebbe alcuna Chiesa, nessun corpo di Cristo vivente in mezzo agli uomini. La Pasqua è una festa così importante che non solo ne celebriamo l’Ottava, come avviene per il Natale, ma ne facciamo addirittura memoria per cinquanta giorni, fino a Pentecoste, che significa “il cinquantesimo giorno” di Pasqua. Ce lo ha ricordato il passo introduttivo degli Atti degli Apostoli, che abbiamo proclamato come lettura in questa liturgia: Gesù si mostrò vivo agli apostoli, dopo la sua passione, apparendo per quaranta giorni e promettendo, nel cinquantesimo giorno, a Pentecoste, il dono dello Spirito Santo.

In tutto il tempo di Pasqua siamo invitati a chiederci: ma io credo che Cristo è risorto? La mia fede si fonda sulla risurrezione di Cristo? Sono davvero certo che egli è il vivente e che vuole tutti gli uomini con se, partecipi della sua stessa risurrezione, perché questo è il destino di gloria che attende ciascuno di noi? Forse noi proclamiamo a parole che Cristo è risorto, ma nei fatti ci comportiamo come Maria di Magdala, in quel primo mattino di Pasqua, presso il sepolcro del Signore. Maria era andata a cercare un morto, non il Vivente, e vedendo la tomba vuota, si mette a piangere perché le hanno portato via persino il cadavere di quel Signore e Maestro a cui aveva affidato tutta la vita, perché si era sentita amata e capita da lui. I suoi occhi sono talmente velati di pianto e il suo sguardo è così rivolto al sepolcro, che deve compiere un vero e proprio gesto di conversione – “si voltò indietro” – per poter vedere Gesù. Ma anche questo non basta.

Benché Gesù sia “in piedi” – cioè è risorto – davanti a lei, Maria non lo riconosce e solo ascoltando la sua parola, il suo nome pronunciato da chi la conosceva nel profondo, allora può giungere ad una conversione più profonda – “si voltò” – e riconosce così il Maestro. Ma anche questo non basta. Maria riceve da Gesù un invito – “Non mi trattenere” – e solo dopo l’ascolto di queste parole, finalmente, riesce a riconoscerlo come il Vivente – “Ho visto il Signore!” – e così lo annuncia ai fratelli a cui è mandata.

Se noi oggi siamo qui è perché dobbiamo compiere il medesimo cammino di conversione. Gesù è presente e vivo in mezzo a noi, nella sua Chiesa, ma noi spesso non ce ne accorgiamo. I nostri occhi sono così intenti a guardare ai sepolcri che gli uomini costruiscono e poi sigillano nella loro vita, che facciamo fatica ad accorgerci della novità di un sepolcro aperto e vuoto. Subito pensiamo a un furto. Siamo così abituati a restringere i nostri orizzonti in questa vita terrena – anche come Chiesa – che non abbiamo attenzione se non per noi stessi e per le nostre sicurezze. Vogliamo che tutto resti uguale, come sempre, secondo le nostre più che consolidate tradizioni, salvo poi lamentarci perché le cose non cambiano.

Abbiamo bisogno anche noi di “non trattenere Gesù” dentro i nostri angusti orizzonti. Se fossimo realmente capaci di accogliere l’invito di Gesù – “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’” – subito i nostri orizzonti si aprirebbero alla novità del vangelo e le nostre comunità cristiane non rischierebbero di ripiegarsi in se stesse. Diventeremmo quella Chiesa “in uscita” di cui parla spesso papa Francesco. Una Chiesa ripiena della gioia del vangelo, attenta ai reali bisogni degli uomini, disponibile a servire chi incontra, disinteressata verso ogni forma di dominio e di potere, capace di dialogare con tutti senza aver paura di perdere il suo legame con il Signore Gesù, il Vivente, che la spinge a dare vita e speranza ad ogni uomo.

Lasciamoci chiamare per nome da Gesù, lasciamo che le nostre comunità siano chiamate per nome da lui, così da riscoprire la freschezza delle origini, la gioia di quel mondo nuovo che il Cristo risorto ha inaugurato nella sua stessa carne. Solo così acquisteremo quella nuova fraternità che il Signore Gesù è venuto a portare tra gli uomini e non avremo più bisogni di distinzioni, perché Dio sarà tutto in tutti e noi sperimenteremo la piena comunione con Lui. È questo l’augurio di buona Pasqua che ci scambiamo.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”