Giovedì 28 Marzo

NOI, APPESI ALLO ZERO VIRGOLA

L’Italia è qualcosa di più di un decimale di Pil. La crisi c’è, ma non siamo nel Terzo Mondo. L’errore in malafede è invece quello di guardare le linee di febbre, trascurando la causa di quella febbre.


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

Più zero virgola uno per cento: meno zero virgola uno per cento. E la politica, l’economia, il giornalismo si accapigliano per queste inezie statistiche. Ogni giorno siamo tempestati da stime, valutazioni, previsioni, consuntivi che parlano di qualche punto decimale in più o in meno sul Pil, la produzione industriale, gli ordini, gli investimenti e quant’altro. Ogni giorno insomma si danno i numeri: chi scommette ed esalta il decimale in più, chi si deprime e saetta contro il decimale in meno. Dall’aria che assumono, dalle espressioni dei volti, dall’importanza che ne danno, pare trattarsi di cose molto importanti, che noi ascoltiamo dai tiggì o leggiamo nelle prime pagine e ci chiediamo perplessi se finalmente… , o se purtroppo…

È di tutta evidenza che uno zero virgola è un’inezia, non solo matematica. Quindi l’importanza che il teatrino dei decisori dà a quell’inezia, travalica il dato numerico. È come se l’Italia – e non solo – guardasse dentro quei fondi di caffè, esaminasse con attenzione spasmodica le interiora nell’animale sacrificato per capire una cosa: stiamo migliorando, risollevandoci da una crisi che ha superato l’ottavo anno consecutivo, da una prostrazione particolarmente debilitante proprio qui in Italia? O, al contrario, le medicine somministrate sono state blande – se non addirittura palliative o assenti – e quindi il grande gigante rimane malato e rischia di peggiorare?

Chiaro che, su simili valutazioni, i dotti-medici-sapienti si muovono come invasati aruspici per valutare, capire, provvedere e comunque giudicare; che i politici verranno pesati, esaltati o affossati. Che noi ne trarremo chiarezza per capire se del futuro dobbiamo avere paura, o fiducia.
Le conseguenze sono notevoli, soprattutto per l’ultimo aspetto. È tempo di continuare a mettere fieno in cascina, di centellinare l’euro o di nasconderlo sotto il materasso? O si può essere più tranquilli per il proprio lavoro, pianificare il cambio di abitazione, pensare che ci sia vita oltre la curva del prossimo mese?

Qui sta l’esagerazione, a nostro parere. E l’errore madornale che molti commettono, in malafede. L’esagerazione, perché non abbiamo avuto un cancro, ma una broncopolmonite. Ci ha messi a letto, ma non debilitati né tantomeno distrutti. L’Italia è qualcosa di più di qualche decimale di Pil. La crisi c’è: ma non siamo precipitati nel Terzo Mondo né rischiamo di farlo a breve.

L’errore in malafede è invece quello di ammucchiarsi tutti a guardare le linee di febbre nel termometro, trascurando la causa di quella febbre: fa comodo farlo. E la causa si chiama debito pubblico: quello sì spaventoso, in continua crescita, senza alcuna terapia specifica di riduzione.
I dotti-medici-sapienti e i politici di corollario diranno che sono appunto quei numeri che indicano la strada per affrontare la montagna del debito. Ma anche qui la matematica pone un quesito micidiale: ma chi ragionevolmente può pensare che uno zero virgola di qualcosa possa spianare una montagna da quasi 2.250 miliardi di euro di debiti? Per portare il mostro a livelli sostenibili – ancora enormi ma non da incubo – bisognerebbe quantomeno abbassarlo di 6-700 miliardi. Trenta miliardi in meno all’anno, da oggi a vent’anni. Senza una sola pausa. Invece sta ancora crescendo. Punto.

Nicola Salvagnin per Agenzia SIR

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Cernusco sul Naviglio, 10 ottobre 2016