IL DENARO C’È, MANCANO IDEE

L’innovazione di prodotto viene da lontano. Noi, formichine preoccupate. Come “scongelare” tanta liquidità ed indirizzarla verso investimenti produttivi, verso l’economia più che il materasso?

L’Europa è stata per secoli il motore mondiale dell’innovazione tecnologica, la vera locomotiva economica del mondo. Quest’ultimo ruolo l’ha perso da tempo; il primo, non è più di suo appannaggio da qualche decennio: ora le novità che ci cambiano la vita, arrivano da Usa, Cina, Giappone, Corea. Se non resistesse una solida industria automobilistica nel nostro continente, la ritirata sarebbe quasi completa.

Questo per dire che manca l’innovazione, e quindi mancano gli investimenti. L’Europa è diventata un grande mercato di vendita delle merci – il più grande al mondo –, un bazaar dove gli altri si presentano con le loro novità. Un riflesso di questo cambiamento epocale lo si vede nei … salvadanai degli europei, insomma in come noi italiani, tedeschi, francesi impieghiamo i nostri risparmi. Oltralpe, il fenomeno rispecchia in pieno l’immagine di popoli di consumatori invecchiati: liquidità e fondi pensione. Sono questi gli asset più gettonati da tedeschi e francesi: 4 euro su 5 risparmiati dai tedeschi finiscono in prodotti assicurativi e fondi pensione, o in depositi bancari. Una percentuale lievemente inferiore per i cugini francesi.

Anche gli italiani – delusi dal loro vecchio amore, i titoli di Stato, che non rendono quasi più nulla – si stanno rivolgendo agli strumenti di tutela della vecchiaia e dei rischi, complici una crisi economica che ha tolto molte certezze e un progressivo arretramento del welfare pubblico. Se le pensioni di domani saranno la metà (in valore) di quelle di oggi, ovviamente molti stanno cercando di mettere fieno in cascina per l’età post lavorativa.

Ovunque, scarsa propensione al rischio. Non tanto all’azzardo, quanto a quel fattore che si chiama rischio di impresa e che dovrebbe trovare nelle Borse e in certi mercati obbligazionari il proprio punto di riferimento. Da popolo di piccoli imprenditori, noi italiani abbiamo una fetta rilevante del nostro patrimonio assorbito da azioni e partecipazioni in società non quotate: più un grande sistema di garanzie bancarie che altro, stante il fatto che gli italiani amano intraprendere con i soldi delle banche (non con quelli dei mercati finanziari, men che meno con i propri). Sono i soldi che costituiscono i capitali sociali di srl e spa, o che in qualche modo garantiscono i fidi bancari. Fin qui si parla di patrimonio “liquido”: il vero asset dei nostri risparmi è ancor oggi il mattone. Qui c’è la più alta percentuale di proprietari immobiliari; la bellezza delle nostre città e campagne fa sì che buona parte di questo mattone abbia un buon valore: sono in molti ad aspirare a vivere in Liguria o Toscana; quasi nessuno nelle lande della Bassa Sassonia. Ma che il mattone generi innovazione…

Più di un politico (a cominciare dal premier Renzi) e di un economista spera di trovare il modo per “scongelare” tanta liquidità ed indirizzarla verso investimenti produttivi, verso l’economia più che il materasso. Ma il problema vero è un altro, come emerge chiaramente dal sistema bancario: non c’è richiesta di denari, non ci sono investimenti se non in misura minima. Ma chi mai si sogna di realizzare stabilimenti manifatturieri in Italia, con un mondo ormai aperto a tutto e per tutti, e ben più conveniente e veloce? E da dove sbucherebbero fuori le buone idee, considerato un sistema scolastico senza picchi qualitativi e con una costante fuga di cervelli verso lidi più accoglienti?

Non manca la benzina: manca la macchina. Non da oggi ma dai primissimi anni Novanta. Il fatto che manchi da così lungo tempo e pure nel resto d’Europa, non fa pensare che le cose possano cambiare in breve tempo. (Nicola Salvagnin, per Agenzia SIR, 1 febbraio 2016)

Cernusco sul Naviglio, 8 febbraio 2016