Una riflessione cristiana sull’eutanasia

INTRODUZIONE ALLE RIFLESSIONI

In questi giorni il dibattito pubblico del nostro Paese si sta concentrando sull’opportunità di introdurre nel nostro ordinamento nuovi diritti civili. Questi potranno incidere su alcune tematiche eticamente sensibili e socialmente fondamentali: famiglia e fine vita. Nel mare aperto delle opinioni, occorre ritrovare la bussola della retta ragione e del bene comune, per evitare di lasciarci trasportare passivamente dalla corrente del pensiero dominante o dalle onde delle credenze personali. Purificati così da ogni soggettivismo, potremo dialogare in modo costruttivo e camminare insieme verso una società più giusta, più a misura di uomo, da lasciare ai nostri figli.

Abbiamo già pubblicato: Una riflessione pratica sull'eutanasia

Una riflessione cristiana sull’eutanasia:

Come un libro ha sempre il suo autore, l'uomo ha pure il suo Creatore. Egli, che è al contempo Trinità ed Unità, ci mostra la nostra vera immagine, che è relazione e comunione. Per questo, non soltanto la tua morte, ma anche la tua stessa eutanasia, la legalizzazione in Italia dell'eutanasia o del suicidio medicalmente assistito propagano conseguenze negative sulla vita degli altri. Per tutelare dunque un desiderio del singolo, si finisce per abolire il suo dovere di solidarietà e per danneggiare il bene comune. Eppure più di quest'ultimo viene leso proprio il bene individuale.

Ogni uomo è infatti unico ed irripetibile, creato ad immagine di Dio, da Questi onorato con l'Incarnazione e liberato dalla morte di Croce di Gesù Cristo, liberamente voluta non per assicurarci un futuro di croci, ma di risurrezione e vita. Tutto ciò fa capire come la stessa vita umana non ci appartenga, perché non è da un uomo che abbiamo ricevuto lo spirito, col quale pensiamo, amiamo e desideriamo, ma dal Creatore. Da ciò deriva il dovere di rispettare la vita nostra ed altrui e l'insopprimibile dignità dei nostri corpi. Eppure oggi la nuova ideologia salutista pretenderebbe di ridurla in base ad un giudizio di efficienza biologica. Quest'efficienza verrebbe peraltro misurata secondo criteri puramente soggettivi come la durata di una patologia, il grado di infermità del corpo, l'inguaribilità. Questa nuova ideologia non fa peraltro distinzione fra la patologia inguaribile, quella incurabile e quella immediatamente letale, dimostrando un disprezzo generalizzato per la vita umana. Mentre infatti una malattia inguaribile è pur sempre curabile, una che sia incurabile può sempre beneficiare della sua cura palliativa. Ciò che qui conta è che la morte sia prevista e tollerata come inevitabile e non ricercata.

In conclusione, la disputa sul fine vita e sull'ipotetico diritto a morire sta rimettendo drammaticamente in discussione conquiste della cultura europea che parevano ormai acquisite: il diritto alla vita, il valore unico ed assoluto dell'essere umano, la natura sociale dell'uomo. In definitiva, siamo davvero immersi in uno scontro epocale tra due culture antitetiche, dove la neutralità è impossibile, perché ogni uomo vive in relazione con gli altri, cosicché quasi si muove e respira nella cultura del suo popolo. Nell'attesa dunque che questa guerra tra cultura della vita e cultura della morte giunga al suo esito, noi osiamo sperare con la certezza che non può esistere cultura, né valore, né diritto in un mondo di morti. R.D.

Seguirà: Brevi note sul diritto all’eutanasia in Italia