L’ARCIVESCOVO: COSTRUIAMO “UNA CHIESA FATTA DI GESTI E SCELTE PROFETICHE”.

Un incontro di formazione – quello che si è tenuto lo scorso giovedì sera in chiesa prepositurale, alla presenza dell’Arcivescovo - “per dire che condividiamo alcuni punti riferimento”. Poi “possiamo avere punti diversi, perché ognuno ha la propria storia e la propria sensibilità, ma su alcuni punti fondamentali siamo d’accordo” tanto che “usiamo lo stesso linguaggio, addirittura le stesse parole”.


Convocati per l’incontro erano i componenti dei consigli pastorali e le religiose della nostra zona pastorale, al mattino invece, al cinema Agorà, si sono ritrovati, sempre con monsignor Delpini, i sacerdoti e i religiosi.

“LA PRESENZA DEL VESCOVO – ha evidenziato monsignor Delpini, nella sua introduzione - è quella di colui che fa una proposta di formazione permanente congiunta (cioè per tutti: preti, religiosi e laici, ndr), non è la presenza di un esperto. Il vescovo svolge invece il suo servizio alla comunione. Non è quindi interessante il suo discorso perché è originale ma perché dice la visione d’insieme sulla quale siamo chiamati a convergere.” Altrimenti “se non convergiamo rischiamo di essere dei protagonisti arbitrari di un’impresa che dura fin quando durano le nostre risorse. Se tutto è legato troppo ad un’idea soggettiva, prima o poi quanto si sta facendo finisce.” La certezza dell’Arcivescovo è, invece, che “la Chiesa è nella sua missione quanto più è comunione.”

QUAL È IL VOLTO DI CHIESA CHE NOI CONTRIBUIAMO A DELINEARE? - È vero che “la Chiesa la fa lo Spirito Santo, l’Eucaristia, ma questa comunione originale diventa una comunità concreta.” Monsignor Delpini ha, quindi, messo in evidenza quattro caratteristiche di questo volto di Chiesa sulle quali “si verifica l’unità” e il “cammino che si sta facendo”.

DIMORARE NELLO STUPORE – “La Chiesa nasce da un momento di sorpresa, di meraviglia, di stupore: la Pentecoste. I discepoli escono dal Cenacolo per predicare e andare in missione. La gente viene presa dallo stupore. Lo stupore di Pentecoste non è un episodio circoscritto a quella giornata, ma è la vita della Chiesa. Ogni giorno lo Spirito Santo è presente nella Trinità e compie le sue opere stupefacenti, cioè porta salvezza, rende possibile la carità, introduce nella storia disperata un annuncio di speranza.” Dimorare nello stupore – ha spiegato l’Arcivescovo – “vuol dire far risplendere la gloria di Dio in questa storia umana, vincendo un diffuso pessimismo.”

TROVARSI A PROPRIO AGIO NELLA STORIA – Una delle caratteristiche più “tipiche del cristianesimo ambrosiano, che noi abbiamo ereditato, è quella di trovarsi a proprio agio nella vita: non essere gente che sogna sempre un altrove, un altro tempo. Trovarsi a proprio agio vuol dire anche saper affrontare la fatica nel tirare avanti le cose, non considerare i problemi come pesi ma come sfide, avvertire la responsabilità non come qualcosa che ci schiaccia ma motivo di fierezza, che ci spinge ad affrontare le cose dicendo che ce la possiamo fare, che abbiamo le risorse per superare le difficoltà.” E ancora: “non pensiamo di avere la bacchetta magica per risolvere i problemi, viviamo in una storia drammatica, faticosa, però siamo a nostro agio, non siamo di quelli che dicono ‘dovrebbero provvedere gli altri’, ma di quelli che si rimboccano le maniche e mettono a posto un pezzetto di storia per volta.” C’è anche un preciso avvertimento: “noi abbiamo un certo scetticismo verso coloro che si presentano come profeti e salvatori del mondo, perché sappiamo che i problemi sono complicati e li si devono affrontare uno per volta. Noi siamo pronti a rimboccarci le maniche, consapevoli che abbiamo dei talenti da spendere.”

IL FORTE GRIDO CONTRO IL MALE – “Gesù ha condiviso le vicende umane, però non vi si è adeguato, non si è rassegnato alla storia. In particolare, ha emesso un forte grido di fronte alla morte. La morte ingiusta suscita la sua ribellione. Forte grido sono anche i gesti profetici che Gesù ha compiuto per reagire alla perversione della religiosità, quando caccia i mercanti dal tempio, quando si scaglia contro il demonio, quando è contro il dolore innocente”: ha osservato monsignor Delpini, aggiungendo poi che “la Chiesa deve certamente curare i suoi mali e le sue ferite e liberarsi dai suoi peccati, ma deve anche continuare a levare la sua voce profetica contro il male, combattendo la povertà, l’ingiustizia e la corruzione.” Anche le nostre comunità – è l’invito dell’Arcivescovo – “nella loro storia concreta, devo conoscere questo linguaggio del forte grido, per reagire con lucidità al male. Non possiamo tacere! Dobbiamo levare il forte grido della protesta: la Chiesa con i fatti contrappone al male il bene e alla solitudine il convergere insieme dei fratelli.” L’esortazione è ad essere “una Chiesa fatta di gesti e scelte profetiche”.

CONTEMPLARE LA CITTÀ SANTA – “Non abbiamo qui sulla terra la nostra dimora permanente, ma cerchiamo la Città Santa che il Padre custodisce nel segreto del suo mistero” per questo “la Chiesa vive il suo tempo come un pellegrinaggio. Non siamo gente che si è assestata, non siamo gente che si illude di dire ‘io starò qui per sempre’. E non siamo gente che ha paura della morte, al punto di cancellarla dai propri pensieri e ragionamenti.” Il cristiano, invece, è “chiamato proprio dalla risurrezione di Gesù a guardare in alto, ad attendere il compimento, perché già adesso siamo figli di Dio e perciò speriamo di poterlo vedere faccia a faccia.” Infatti, “è così intensa e straordinaria la grazia che sperimentiamo, che desideriamo il compimento, cioè vedere il Signore come egli è.” L’Arcivescovo, avviandosi verso la conclusione della sua riflessione, ha sottolineato che “qualche volta il cristianesimo sembra una cura palliativa. Qualcosa che viene vissuto per dare un po’ di sollievo, di conforto. Ma per che cosa e fino a quando?” Ecco la risposta di monsignor Delpini : “il cristianesimo è annuncio del Regno di Dio che viene. La speranza di vita eterna non è un compimento un po’ vago. No!, noi tutti i giorni diciamo infatti ‘venga il tuo Regno’. La speranza è un evento irrinunciabile della vita cristiana. Perciò la Chiesa che dobbiamo costruire è pellegrina e sa che c’è una meta, un compimento.” Con la certezza che “la vita eterna non si riduce a vaga consolazione, che viene dopo, ma è Gesù, è il rapporto con lui.”

E ADESSO? – Una riflessione, dunque densa e carica di indicazioni - quella del nostro Arcivescovo - che traccia un cammino ben preciso per la Chiesa Ambrosiana e quindi anche per la nostra Comunità pastorale. La responsabilità di ciascuno è adesso quella di non dimenticarla subito. Il convergere sui 4 ‘punti fondamentali’ indicati da monsignor Delpini diventa certezza che la “Chiesa è nella sua missione”.

Cernusco sul Naviglio, 19 gennaio 2019