UN SEGNO DI FRATERNITÀ OFFERTO AL MONDO INTERO

L’8 dicembre scorso, a Oran, in Algeria, sono stati beatificati 19 cristiani uccisi durante la guerra civile che ha insanguinato il Paese negli anni ’90. Suor Serena, nostra concittadina, racconta come la Chiesa locale ha vissuto questo momento.

I sette monaci trappisti di Tibhirine, tra i 19 martiri algerini beatificati

(foto da www.agensir.it)

Ho potuto partecipare a un momento importante per la Chiesa d’Algeria, un momento atteso e gioiosamente preparato dalla nostra piccola ma viva comunità cristiana. La lettera dei vescovi con l’annuncio che Papa Francesco aveva firmato il decreto di beatificazione è arrivata in ottobre nelle nostre comunità ed è stata accolta con gioia. Davanti al grande dono di poter fare memoria dei nostri 19 fratelli e sorelle in qualità di martiri, la nostra diocesi ha messo in moto la macchina dei preparativi coinvolgendo noi tutti. Pian piano il programma si è tratteggiato: la celebrazione in memoria dei 19 martiri religiosi cattolici e dei 114 religiosi musulmani assassinati durante il terrorismo si sarebbe svolta in tre grandi momenti, per dare la possibilità al più gran numero di persone di partecipare e soprattutto di cogliere il messaggio fondamentale offerto da questo avvenimento.

Durante la veglia, la sera del 7 dicembre in cattedrale, si è dato spazio alla testimonianza, con la presenza e intervento di alcuni sopravvissuti e delle famiglie delle vittime, di una comunità sufi che ha animato con preghiere e canti. Immagine simbolo della fraternità e solidarietà è stato l’abbraccio tra la sorella del vescovo Pierre Claverie e la mamma del suo autista e amico, il giovane Mohamed Bouchikhi che l’accompagnava a rischio della propria vita e che è stato ucciso dalla stessa bomba, i due insieme vittime del terrorismo.

Momenti di dialogo coinvolgenti - L’incontro alla grande Moschea di Oran, riservato alle autorità religiose e civili e alle famiglie delle vittime, è stato soprattutto un omaggio ai 114 imam assassinati durante “il decennio nero”. Il canto dei versetti del Corano riguardanti la Vergine, Madre di Gesù, lo scambio di regali e l’incontro del cardinale inviato del Papa con la moglie e la figlia di un iman assassinato, sono stati momenti di dialogo coinvolgenti: fatti che mostrano ciò che unisce, che dicono quanto la reciproca compassione può accomunare le nostre due religioni in un cammino di misericordia. E infine la grande celebrazione sulla piazza del santuario Santa Cruz, inaugurata alla vigilia come “Piazza del vivere insieme nella pace” dove si sono riuniti un migliaio di persone di nazionalità e culture diverse, cristiani e musulmani. E’ stato il momento centrale della celebrazione: l’Eucaristia per proclamare martiri e beati coloro che davanti al pericolo di morte, che era onnipresente nel Paese, hanno fatto la scelta, a rischio della vita, di vivere fino in fondo i legami di fraternità e di amicizia, di non abbandonare i loro fratelli algerini nel momento del pericolo. Momenti di forte comunione hanno accompagnato la cerimonia suscitando preghiere, applausi e grida di gioia per questi testimoni di un amore capace di dare la vita per i suoi amici.

Le tombe dei sette monaci trappisti di Tibhirine (foto da www.agensir.it)

Un popolo perseguitato - Credo che il segno particolare di questa beatificazione sia stato l’aver messo in luce come in quegli anni oscuri non sono stati solo la Chiesa e i cristiani a essere perseguitati, ma tutto il popolo algerino: il sangue dei nostri 19 martiri si è mescolato al sangue di fratelli e sorelle algerine. I nostri fratelli martiri non sono che una goccia dentro un oceano di violenza che ha veramente martirizzato l'Algeria durante una decina d'anni. Infatti, col vescovo, i 12 religiosi e le 6 religiose che in Algeria si sono spesi con amore per gli ultimi nel nome di Cristo, sempre rispettando la fede dell'altro, molte sono state le vittime algerine della violenza estremista: sono quasi duecentomila le persone, intellettuali, giornalisti, scrittori... ma in gran parte comuni cittadini, padri, e madri che rifiutavano di obbedire agli ordini dei gruppi armati, e tra loro un centinaio di Imam, uccisi per non aver firmato le fatwa che giustificavano la violenza. Anch'essi hanno sacrificato la loro vita, per fedeltà alla loro fede in Dio e alla loro coscienza. In questa prospettiva, la beatificazione dei 19 martiri cristiani ha aperto uno squarcio di luce anche sulle tante sofferenze vissute dal popolo algerino. «Rendere omaggio ai 19 martiri cristiani – afferma padre Georgeon, postulatore della causa di beatificazione – significa rendere omaggio alla memoria di tutti coloro che hanno dato la loro vita in Algeria negli anni Novanta».

Un messaggio di pace - Tanti sono stati gli echi sul vissuto di questa celebrazione, dalla stampa, unanime nel sottolineare il messaggio di pace e unità che ha portato all’Algeria e al mondo intero, ai partecipanti algerini e stranieri.
“Quando sono arrivato a Oran, alcuni dicevano che questa celebrazione non si doveva fare in un paese musulmano… mentre qui ho visto algerini musulmani membri di una confraternita presenti e partecipanti ai piedi dell’altare coi loro canti; e una giornalista che diceva ‘sento che sono anch’io beatificata vivendo questo momento” (uno studente africano)
“Delle persone morte su una terra che non è la loro e che muoiono per persone di un’altra religione, è straordinario: e che la giornata mondiale per “il vivere insieme” sia stata proposta dall’Algeria mentre noi dal di fuori pensiamo che gli Algerini non siano campioni del vivere insieme” (studentessa africana)
“Dico una parola per i miei fratelli cristiani algerini: li ho trovati felici, aperti mentre io come algerina musulmana pensavo che fossero persone squilibrate… mentre ho visto che sono ancora veri algerini, solo pregano secondo un’altra strada e mi sono sentita bene con loro” (una giovane algerina musulmana)
“Noi algerini abbiamo fatto un gran passo avanti qui, abbiamo superato la paura… abbiamo fatto la comunione davanti a tutti quelli che erano là” (un algerino cristiano).

Il monastero di Tibhirine (foto da www.agensir.it)

Una vita donata a Dio e ai fratelli - Tanti sono stati gli echi sul vissuto di questa celebrazione, dalla stampa, unanime nel sottolineare il messaggio di pace e unità che ha portato all’Algeria e al mondo intero, ai partecipanti algerini e stranieri. Tante sono le testimonianze che si potrebbero raccontare su quelle giornate “benedette”. Quello che conta per noi è che i nostri fratelli e sorelle beatificati sono diventati un modello sul cammino della santità ordinaria. Tra noi molti non li hanno conosciuti, ma oggi la loro vita appartiene a noi tutti. Non sono degli eroi, ma solo i testimoni di una vita semplice totalmente donata a Dio e ai fratelli. Non sono morti per un’idea o una causa, ma per fedeltà, per non abbandonare un amico che si trova nel pericolo. «Non si lascia un amico che soffre » diceva Mgr. Pierre Claverie. E la grazia che ci lasciano è quella di accompagnarci come pellegrini dell’amicizia e della fraternità universale, attitudini fondamentali per la nostra missione in Algeria.

Suor Serena

Cernusco sul Naviglio, 12 gennaio 2019