IMMIGRAZIONE, DA SFATARE ALCUNI LUOGHI COMUNI

“Non dobbiamo nasconderci dietro un dito e dire che noi siamo invasi dai profughi e rifugiati che arrivano dalla Libia, perché vengono da una nazione che abbiamo contribuito a distruggere. L’Italia ha il record del maggior numero di voli per bombardamenti sulla Libia (nel 2011, ndr). Non possiamo lavarcene le mani e dire che non possiamo farci niente, perché sono troppi i profughi e i rifugiati che adesso arrivano nel nostro Paese. Ma noi abbiamo contribuito a creare questo fenomeno migratorio in maniera chiara attraverso l’intervento militare” si quattro anni fa: questa la forte denuncia fatta dal concittadino padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, nel corso dell’incontro dello scorso 5 luglio alla “10 Festa per la rivoluzione in bicicletta” al centro sportivo comunale di via Buonarroti.

Il tema dell’incontro - “Il mare non fa prigionieri” - ha offerto la possibilità a padre Efrem, comboniano, con alle spalle una solida conoscenza dell’Africa, per esaminare il fenomeno dell’immigrazione. Innanzitutto sfatando alcuni luoghi comuni. Associazioni cristiane e non cristiane - ha osservato il direttore di una delle più importanti riviste missionarie italiane – stanno operando in molti Paesi africani con interessanti progetti nel campo dell’istruzione, della sanità, delle arti e delle professioni, e si stanno impegnando con le popolazioni locali per trovare soluzioni ai loro problemi economici e sociali. Senza dimenticare poi la schiera di missionari e missionarie che sono sul posto e che stanno facendo un lavoro straordinario con scuole e ospedali, là dove lo Stato è incapace di essere presente. “Quindi – per padre Efrem - la battuta ‘aiutiamoli a casa loro’ è un po’ come la scoperta dell’acqua calda, perché questo già lo si fa.”

Un altro slogan – “prendeteli a casa vostra” – che spesso riecheggia nelle affermazioni di qualche politico italiano, per Tresoldi, ha il respiro corto, perché “quando si fa qualcosa per gli immigrati c’è un’alzata di scudi”, come accaduto qualche mese fa a Padova. “È la contraddizione di questi slogan che parlano alla pancia delle persone ma non cercano di far riflettere sulle reali condizioni in cui si trovano gli immigrati”.

“Papa Francesco nella sua recente visita a Torino – ha ricordato quindi Tresoldi - ha giustamente detto di non colpevolizzare gli immigrati perché sono vittime che fuggono da Paesi dove ci sono guerre, persecuzioni, condizioni di vita impossibili.” “Anche noi – ha proseguito il direttore di Nigrizia - dobbiamo guadare a queste persone da questo profilo. C’è chi dice che facciamo del buonismo, ma l’Italia ha degli obblighi internazionali, ha sottoscritto trattati internazionali riguardanti richiedenti asilo, e poi non dimentichiamo che la nostra Costituzione all’articolo 10 dice che ‘lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.’ Quindi non stiamo facendo buonismo ma stiamo semplicemente applicando la legge, dando la possibilità a chi fugge dal proprio Paese di chiedere asilo politico.”

Nei confronti dei profughi e rifugiati, “la parola clandestini – ha spiegato padre Efrem - non deve mai essere usata. Perché clandestino è colui che nasconde la propria identità per non essere arrestato. Come facciamo a dire che chi arriva sulle nostre coste è un clandestino se non sappiamo ancora chi è? Non sono clandestini, ma profughi e rifugiati”. Poi padre Efrem ha ricordato che secondo i dati diffusi dall’agenzia dell’Onu che si occupa del fenomeno migratorio, solo il 10% di coloro che arrivano nel nostro Paese sono “migranti economici”, il resto invece sono profughi o rifugiati.

“Dobbiamo renderci conto – è stata la considerazione di Tresoldi - come molto spesso il linguaggio tradisce la realtà e viene usato sovente per creare e suscitare facili slogan, per alzare muri e barriere e per non affrontare la realtà per quella che è”.

All’Italia sinora è mancata una seria politica capace di affrontare il fenomeno immigrazione. “A chi dice che l’unica soluzione è quella di affondare i barconi degli scafisti – ha chiosato padre Efrem - dico che è una sciocchezza. È una follia. Perché questo vorrebbe dire andare sulle coste libiche e affondare quelle carrette del mare prima che salpino e vuol dire entrare in rotta di collisione con i governi che attualmente ci sono in Libia. Sappiamo bene come poi il passo sia facile: partire dalle coste per invadere il resto del Paese.”

L’Italia sta invecchiando rapidamente e allora – ha osservato padre Efrem, passando ad analizzare i benefici che il nostro Paese potrebbe trarre dagli immigrati - “dobbiamo dire chiaramente che l’immigrazione è una ricchezza economica e sociale - perché in Italia ci sono cinque milioni di immigrati regolari che lavorano e pagano le tasse e quindi contribuiscono al nostro benessere economico e sociale – perche ci aiutano ad aprire i nostri orizzonti, a ‘sprovincializzarci’, a cogliere le ricchezze morali e spirituali di persone che arrivano da Paesi di tradizioni diverse dalle nostre.”

Quali soluzioni si possono individuare? “Il problema dell’immigrazione è molto complesso e va quindi affrontato in diverse direzioni.” Padre Efrem ne ha indicate quattro. Innanzitutto, i governi europei dovrebbero incoraggiare l’ONU a trovare una mediazione che consenta di stabilizzare la Libia, mettendo d’accordo le diverse entità presenti nel Paese nel formare un governo di unità nazionale. Poi, assicurare un canale umanitario per evitare il ripetersi delle tragedie del mare. Chi lascia il suo Paese lo fa perché è sicuro di andare incontro ad una morte certa, mentre se prende un barcone la morte potrebbe essere probabile: “Noi al loro posto cosa faremmo?”, è stato l’interrogativo posto da padre Efrem ai presenti. Terza pista d’intervento, avere il coraggio di denunciare le dittature africane, a partire da quella dell’Eritrea, e smettere di fare affari con questi Paesi. Il nostro governo – è stata la constatazione di Tresoldi – non ha ancora avuto questo coraggio. Infine, padre Efrem ha proposto di abolire la clausola di Dublino (Regolamento di Dublino II del 2003), che riconoscete il diritto di residenza al richiedente asilo politico nel Paese di primo approccio. “Forse questa clausola – ha sottolineato Tresoldi - poteva andare bene in passato, ora la situazione è molto diversa e molti profughi vogliono venire in Europa, passando per l’Italia, ma per raggiungere i loro parenti che sono già in un’altra nazione.”

“Non si tratta di essere buonisti. Salvaguardando l’ordine e la legalità, non possiamo rifiutare l’accoglienza, perché non possiamo scavalcare la nostra Costituzione e i trattati che il nostro Paese ha sottoscritto. E dobbiamo essere consapevoli che l’immigrazione è un bene anche per una società come la nostra che sta invecchiando, perché la può aiutare nella crescita economica e sociale”: questa la considerazione conclusiva di padre Efrem.

Nel dibattito che poi è seguito, padre Efrem ha richiamato tre aspetti: l’importanza di documentarsi sul fenomeno migratorio, ricercando fonti di informazioni credibili; impegnarsi poi a diffondere una visione reale e non distorta di queste dinamiche migratorie; avvertire la necessità anche per noi, in alcuni casi, di intervenire, per non essere pure noi complici di situazioni che procurano morte. E a questo proposito ha accennato alle cosiddette “banche armate” tra le quali purtroppo, anche per il 2014, c’è la BCC di Cernusco. Un argomento che merita si essere ripreso e approfondito.

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 6 luglio 2015