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NON SIAMO FATTI PER RESTARE TRA DI NOI

La riflessione proposta da monsignor Mario Delpini, vicario generale della nostra diocesi, lo scorso 22 maggio a Caravaggio, ai fedeli delle parrocchie del nostro decanato, merita di essere ripresa, perché ha toccato un tema importante: il compito e la responsabilità di ogni credente nella società e nel costruire la nuova città.

La città da costruire, come l’ha tratteggiata il vicario generale, è una città che consola, una città bella, una città con una fonte che disseta. «Fate spazio nella vostra città alla consolazione – ecco il primo tratto della nuova città descritto dal Vicario - a quella delicatezza che sa farsi vicino a chi piange per detergere le sue lacrime. La figura di Dio in mezzo agli uomini si riconosce per questo: perché è un luogo di consolazione. Non domandate chi mi consolerà. Domandatevi piuttosto chi posso consolare?». Ha quindi invitato a fare spazio «a un po’ di bellezza. La bellezza è semplicità, è ordine, è armonia, è capacità di escludere il chiasso per la musica, è quella cura del particolare che fa si che sia attraente abitare in quella casa, in quel quartiere e in quella città. La bellezza non è una specie di esibizione seducente. La bellezza è un dono di pace. È quel modo di usare il tempo, le cose, i rapporti perché sia bello abitarli e perché ci si trova a proprio agio». Infine, ultimo tratto, la nuova città è quella in cui c’è «quella fonte che alimenta il desiderio, che dice “non accontentatevi di desideri piccoli e meschini. Desiderate di più, desiderate più vita, più gioia, più amore perché c’è la sorgente che disseta”.»

La nuova città ha un’origine ben precisa, ha spiegato monsignor Delpini. La «città che ho visto scendere dal cielo (il riferimento è alla “nuova Gerusalemme” di cui si parla nell’Apocalisse di Giovanni al capitolo 21, ndr) è viva, è bella, è consolazione perché è la tenda di Dio. È caratterizzata dalla presenza di Dio. È il luogo dell’incontro con Dio». Quindi l’invito a fare spazio nelle nostre città «a questa possibilità di incontrare Dio, perché senza Dio la sete è destinata a diventare arsura di cui si muore. Senza Dio la bellezza è destinata a diventare una seduzione che rende schiavi. Senza Dio la consolazione è destinata a diventare un inganno che lascia le lacrime ancora più amare.»

Chiamati ad essere profeti, artisti e generosi – Il vicario generale ha indicato, infine, la bussola dell’impegno dei cristiani nella società: «i cristiani oggi devono diventare dei profeti, degli artisti e dei generosi. Ecco noi abbiamo la responsabilità di accogliere nella nostra città la città che il veggente vede scendere dal cielo. Dove si appoggerà questa città bellissima? Noi tutti dovremmo rispondere: “si appoggerà a casa mia. E realizzerò qualche frammento proprio lì dove abito, dove passo il tempo tra i miei famigliari, proprio lì passa la città vista scendere dal cielo.” Noi siamo incaricati di costruire nuovamente la città. Perché sembra che le città si stiano disgregando e i cristiani siano tentati di costruirsi delle aiuole in cui ritirarsi. Ma non è questo il senso delle presenza delle comunità cristiane nel mondo. No, non siamo fatti per restare tra di noi, per costruire una muraglia che ci difenda dai pericoli del mondo. Siamo fatti per guardare questa città che scende dal cielo e vedere che proprio questa città si posa là dove vivo. La città che cerca di consolare, la città che si rivela per la cura della bellezza, dell’armonia, dell’ordine, dei particolari. La città in cui sgorga la sorgente di acqua viva che disseta e che dà motivo per desiderare ancor di più di bere, di avere una sete ancora più grande.»

In dialogo e in collaborazione con tutti – Stiamo vivendo un momento nel quale siamo chiamati a confrontarci con sfide destinate a incidere profondamente sul futuro della società italiana. Sfide che non conosco limiti, che toccano tutti i livelli della vita: dalla famiglia all’affettività, alle relazioni sociali lavorative, alle relazioni internazionali, economiche e politiche. La risposta a queste grandi insidie non può essere data, come spesso è successo in passato, con una chiusura a riccio nella propria identità. È necessario aprirsi al dialogo, senza paure e senza rinunciare al proprio contributo di verità, di amore e di bellezza. «Sono tante le questioni umane da discutere e condividere – ci ha ricordato Papa Francesco - e nel dialogo è sempre possibile avvicinarsi alla verità, che è dono di Dio, e arricchirsi vicendevolmente. Dialogare significa essere convinti che l'altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alla sua opinione, alle sue proposte, senza cadere, ovviamente, nel relativismo.» Un dialogo senza limiti, «un dialogo con tutti gli uomini, anche con coloro che non condividono la fede cristiana, ma “hanno il culto di alti valori umani”, e perfino “con coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere”». In dialogo con tutti per costruire la nuova città. Per questo la Comunità pastorale ha scritto una “Lettera aperta alla città” sull’accoglienza agli immigrati chiedendo «anche la collaborazione di tutte le forze sociali, politiche, economiche di Cernusco sul Naviglio affinché la città non si ripieghi su sé stessa e collabori, nei tempi e nei modi più opportuni, per fornire concreto aiuto a queste persone che, come sottolinea Papa Francesco, sono come noi alla ricerca della felicità.»

Buona settimana!

Carlo & Ambrogio

Cernusco sul Naviglio, 1 giugno 2015