L’ARCIVESCOVO: “QUALE CITTÀ STIAMO COSTRUENDO?”

È la domanda che monsignor Delpini ha rivolto ai fedeli riuniti al Centro sant’Ambrogio di via Cavour in occasione della festa liturgica di san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli. Una domanda che acquista un significato particolare nell’imminenza della Fiera di san Giuseppe, tradizionale sagra cittadina: l’ospedale psichiatrico collocato «in questa città di Cernusco diventa una domanda per la città stessa. Quale città stiamo costruendo? Intorno a che cosa la stiamo costruendo?»


Chiesa del Centro sant’Ambrogio, solenne concelebrazione presieduta da monsignor Mario Delpini
(giovedì 8 marzo 2018, foto di M. Frigerio)

«È con profonda gioia e un po’ di commozione che le diamo il nostro benvenuto in questo centro assistenziale intitolato al nostro patrono, sant’Ambrogio, nel giorno in cui la comunità ospedaliera del nostro istituto celebra la solennità di san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, patrono dei malati e degli operatori sanitari»: con queste parole il superiore della Provincia Lombardo-Veneta, fra Massimo Villa, ha accolto monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano – giovedì 8 marzo – al Centro Sant’Ambrogio di via Cavour, dove alle ore 12 ha celebrato la Messa. Con lui hanno concelebrato il vicario episcopale della nostra zona pastorale, monsignor Piero Cresseri, il decano, don Claudio Silva, il prevosto, monsignor Luciano Capra, gli altri sacerdoti della nostra comunità e alcuni religiosi. Presenti anche il Sindaco, Ermanno Zacchetti, autorità civili e militari cittadine.

«Lei eccellenza si trova in un ospedale psichiatrico moderno – ha aggiunto fra Villa - nel quale, con le tecniche scientifiche e con la medicina, noi ci prendiamo cura, a nome della Chiesa, di questo pezzetto di umanità ferita che grida, ancora oggi, la necessità di essere accolti e curati nella loro malattia, ma soprattutto presi in braccio, come fa Gesù, nella loro umanità per rendere visibile a tutti che l’uomo, la donna, non perdono mai quell’immagine a sua somiglianza che Dio ha posto in ciascuno di noi nell’atto della creazione.»


Chiesa del Centro sant’Ambrogio, solenne concelebrazione presieduta da monsignor Mario Delpini
(giovedì 8 marzo 2018, foto di M. Frigerio)

Fare proprio lo sguardo del ‘buon Samaritano’ e impegnarsi per costruire una città capace di prendersi cura dei più fragili, sono stati i passaggi centrali dell’omelia dell’arcivescovo, svolta con quello stile immediato, chiaro ed efficace che ormai stiamo imparando a conoscere e apprezzare. «È lo sguardo il primo modo in cui si stabilisce un rapporto. È lo sguardo che introduce nella tua vita la vita degli altri, che possono essere anche un fastidio. E allora è meglio distogliere lo sguardo per poter passare oltre», come accade ad alcuni personaggi della parabola del ‘buon Samaritano’, letta dal Vangelo di Luca durate la celebrazione.

«Del ‘buon Samaritano’ si dice, invece, che vede l’altro e lo riconosce», quando questo accade «la tua gioia mi fa gioire, il tuo dolore mi fa soffrire, la tua tristezza mi intristisce». Il ‘buon Samaritano’ «provò compassione per chi era stato ferito e quindi partecipa del dolore del suo fratello». Ecco allora l’invito dell’arcivescovo: «Il nostro sguardo si deve rivolgere agli altri con questa sensibilità: deve essere dominato dalla sguardo di Dio e vedere quando la vita diventa un peso, vedere quando un fratello e una sorella portano sulle spalle un fardello», «perché c’è il dolore fisico, c’è l’angoscia per le persone che si amano, c’è l’ansia per la propria sorte.» Uno sguardo, ha aggiunto ancora monsignor Delpini, capace di vedere «anche i fratelli oppressi dai fantasmi, dalle paure, dallo smarrimento, da una depressione che perseguita senza tregua.» Quando si è capaci di questo sguardo, ci si «accorge che c’è uno sguardo che precede, uno sguardo amico, uno sguardo più luminoso dell’uomo, uno sguardo che si posa con pazienza e attenzione, con rispetto e delicatezza su colui che è schiacciato dalla vita. Si intuisce che questo uomo dolorante è come avvolto da una presenza che lo abbraccia, che lo vede e ne ha compassione», come fa il ‘buon Samaritano’. È uno sguardo che «riconosce la volontà di Dio su ogni fratello e su ogni sorella.»


Chiesa del Centro sant’Ambrogio, solenne concelebrazione presieduta da monsignor Mario Delpini
(giovedì 8 marzo 2018, foto di M. Frigerio)

«Il ‘buon Samaritano’ non suggerisce la pratica della carità come una semplice prestazione – è un altro passaggio dell’omelia dell’arcivescovo - cioè hai bisogno di una cosa e io te la do. La raccomandazione che Gesù ci rivolge - ‘va e anche tu fa lo stesso’ - significa prossimità, presenza premurosa, sino alla condivisone della vita, invita a costruire una fraternità. La vita non si riduce ad un rimedio, ma chiede di costruire rapporti, di approfondire la conoscenza e in un certo modo avvia una reciprocità. Chi dà e chi riceve stabiliscono un rapporto, che non è soltanto un dare e ricevere ma è la costruzione di una casa comune, è il sentirsi partecipi di un’unica storia. È il riconoscere fratello e sorella colui e colei che incontri.»

Il Centro sant’Ambrogio collocato «in questa città di Cernusco diventa una domanda per la città stessa. Quale città stiamo costruendo? Intorno a che cosa la stiamo costruendo?»: l’invito finale dell’arcivescovo, è volto a costruire una città capace di avere lo sguardo del ‘buon Samaritano’.

«Una città la si può costruire attorno a una fabbrica, al produrre, e quindi hanno diritto ad abitare in città quelli che producono, lavorano, hanno salute ed energia. La città la si può costruire attorno al mercato, dove si vende e si compera e allora hanno diritto di abitare la città coloro che hanno qualcosa da vendere o da comprare. Una città la si può costruire anche intorno alla banca e cioè a chi usa dei soldi per fare soldi e quindi la città è abitabile per chi ha soldi per poter fare soldi.»


Chiesa del Centro sant’Ambrogio, solenne concelebrazione presieduta da monsignor Mario Delpini
(giovedì 8 marzo 2018, foto di M. Frigerio)

«Se invece la città è costruita attorno a un luogo di ospitalità, per chi ha bisogno di essere curato e custodito», vuol dire che è una «città costruita intorno all’incontrarsi - ad uno stile, ad uno sguardo che suscita compassione - alla pratica del prendersi cura, a un convivere fraterno.»

Il Centro sant’Ambrogio insegna a Cernusco che «la città può essere costruita intorno al prendersi cura, con l’umiltà di lasciarsi curare. Possono abitare in questa città non solo coloro che sono sani e produttivi, coloro che hanno risorse, che hanno cose da vendere e comperare, ma anche tutti coloro che sono docili allo spirito di Dio, che suggerisce di prendersi cura del fratello, di lasciarsi curare dal fratello». Così «costruiamo una città che invita alla fraternità». È su questo – ricorda l’arcivescovo - che oggi c’è, più che mai, necessità di ritornare a edificare le nostre comunità.

Cernusco sul Naviglio, 8 marzo 2018