SANT’AMBROGIO, L’ARCIVESCOVO: “UN’ALLEANZA PER COSTRUIRE IL BUON VICINATO”

Nel suo primo “discorso alla città”, alla vigilia della festa di sant’Ambrogio patrono di Milano, monsignor Mario Delpini parla di un “vescovo vicino alla gente”, fa l’elogio degli onesti e invita a farsi avanti, propone un’alleanza per costruire il buon vicinato e la regola delle decime, ricorda il sinodo minore che ha appena indetto sulla “Chiesa dalle genti”. Un discorso che offre molti spunti di riflessione, a partire da una lettura decisamente controcorrente della nostra vita quotidiana.

“Dentro la tensione, dentro lo scontro che esaspera la città, dentro i conflitti di fazioni contrapposte, dentro la rivendicazione di privilegi e di potere, dentro la contrapposizione tra gruppi che pure hanno analoga radice religiosa, si intromette un uomo dell’istituzione, prende la parola un funzionario custode dell’ordine pubblico. L’uomo dell’istituzione si chiama Aurelio Ambrogio”: prende le mosse da una riflessione sull’“esemplare funzionario imperiale” il Discorso alla città e alla diocesi pronunciato dall’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, alla vigilia della festa patronale di Sant’Ambrogio.

Durante la liturgia vigiliare, nell’antica basilica dedicata al santo, Delpini svolge le sue riflessioni attorno al tema “Per un’arte del buon vicinato. Se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? (Mt 5,47)”. Al tradizionale appuntamento sono state invitate le autorità, i sindaci dei Comuni di tutto il territorio in cui si articola la grande diocesi milanese. Sono presenti anche le famiglie internazionali, in rappresentanza dei cittadini milanesi provenienti da altri contesti geografici e culturali. Il vescovo ha avuto con loro un incontro particolare prima dell’inizio della celebrazione.

Delpini cita dapprima un passaggio “Dalla vita di sant’Ambrogio di Paolino di Milano”, per aggiungere: “La sua abilità nell’argomentare, la sua autorevolezza personale, la sua determinazione e il suo coraggio convincono i contendenti alla ragionevolezza, zittiscono gli estremisti, impongono una maggior pacatezza. Ma la soluzione del conflitto si presenta come per incanto quando la voce di un bambino, il consenso popolare, l’imprevista possibilità di un successore del vescovo ariano Aussenzio che non desse ragione a nessuno dei due partiti contrapposti fa convergere tutti sulla candidatura di Ambrogio all’episcopato”.

“Celebriamo quindi il servizio reso alla comunità di Milano da un funzionario imperiale. Ambrogio, a quanto pare, si è rivelato un candidato promettente a una responsabilità ecclesiastica perché ha esercitato il suo incarico politico amministrativo in modo da guadagnarsi il favore popolare, la stima dell’imperatore e dei suoi superiori. Ha svolto così bene il suo compito di rappresentare l’istituzione civile da essere desiderato nel ruolo di vescovo dentro l’istituzione ecclesiastica. I tratti che raccomandano Ambrogio come vescovo sono la sua vicinanza alla gente, il suo farsi presente e mettersi di mezzo in un momento che poteva degenerare in un conflitto, il suo desiderio di mettere pace e la sua abilità nel persuadere”.

A partire dalla vita e dall’esempio di sant’Ambrogio, monsignor Mario Delpini ha dedicato ampia parte del “discorso” alle istituzioni civili, alle persone, alle associazioni che si dedicano “alla prossimità”. “Contro la tendenza diffusa a lamentarsi sempre di tutto e di tutti, contro quella seminagione amara di scontento che diffonde scetticismo, risentimento e disprezzo, che si abitua a giudizi sommari e a condanne perentorie e getta discredito sulle istituzioni e sugli uomini e le donne che vi ricoprono ruoli di responsabilità, voglio fare l’elogio delle istituzioni”.

Il vescovo cita i sindaci, le forze dell’ordine, gli insegnanti e il personale della scuola, gli operatori nei presìdi sanitari e nei servizi sociosanitari domiciliari, gli “operatori che presidiano le vie e gli angoli della città, assistendo i clochards del giorno e della notte”. Nel tracciare “l’elogio degli onesti” denuncia invece chi “cerca il proprio vantaggio”, chi “apre la porta alla corruzione”. E ancora: “Voglio fare l’elogio degli onesti e dei competenti, dei generosi e dei coraggiosi. Voglio fare il loro elogio anche per incoraggiare altri, anche per svegliare i giovani, per scuotere i pensionati in piena efficienza: fatevi avanti! Prendetevi qualche responsabilità! Dedicate tempo! Le istituzioni hanno bisogno di voi! la città, il paese, hanno bisogno di voi”.

Il vescovo di Milano propone quindi “un’alleanza per costruire il buon vicinato”. Cita Papa Francesco (Evangelii gaudium, 71), per poi affermare: “L’alleanza di tutti coloro che apprezzano la grazia di vivere nello stesso territorio è una convocazione generale che non prepara un evento, ma che impara e pratica un’arte quotidiana, uno stile abituale, un’intraprendenza semplice. L’alleanza è stipulata non con un documento formale, ma con la coltivazione di una buona intenzione, con la riflessione condivisa sulle buone ragioni, con la vigilanza paziente che contrasta i fattori di disgregazione, di isolamento, di conflittualità”. Tale alleanza chiama a una “specifica responsabilità la Chiesa ambrosiana e le istituzioni pubbliche”, “le Chiese e le confessioni cristiane”, “le religioni che ormai abitano le nostre terre e intendono portare il loro contributo alla costruzione della Milano del domani”.

Una “impresa corale”, dunque, che trova nell’“arte del buon vicinato” il suo “presupposto”. “Abitare nello stesso territorio o addirittura nello stesso condominio, non garantisce – dice Delpini – circa la predisposizione ad essere ‘buoni vicini’. È necessario che sia condivisa la persuasione che il legame sociale, la cura di sé, della propria famiglia, della gente che sta intorno è la condizione per la vivibilità, la sopravvivenza, lo sviluppo mio e della società”. “Si tratta di contrastare la tendenza individualistica di cui si è ammalata la nostra società”. In tale direzione monsignor Delpini individua un compito per le istituzioni pubbliche: “Si tratta infatti di chiedersi quali case meritano di essere costruite? Quali infrastrutture sono prioritarie? Quale gestione degli spazi, del verde, dei servizi deve essere perseguita? Quali servizi alla persona (educativi, sociali, sociosanitari e sanitari) devono essere garantiti (per tutta la vita e per la vita di tutti)?… Come favorire lo sviluppo di relazioni e di legami, incrementando in questo modo il grado di sicurezza delle persone che vivono in quel quartiere?”.

Ma “il buon vicinato è frutto di un’arte paziente e tenace, quotidiana e creativa”, perché “l’accelerata e inedita epoca di cambiamenti che stanno interessando le nostre terre ci invita a qualche cosa di straordinario”. Delpini cita le Scritture e prosegue: “L’arte del buon vicinato comincia con uno sguardo. Ecco: mi accorgo che esisti anche tu, mi rendo conto che abiti vicino. Mi accorgo che hai delle qualità e delle intenzioni buone: anche tu vorresti essere felice e rendere felici quelli che ami. Mi accorgo che hai bisogno, che sei ferito: anche tu soffri di quello che mi fa soffrire”.

“L’arte del buon vicinato pratica volentieri il saluto e l’augurio, il benvenuto e l’arrivederci”; “si esprime in forme di rispetto e attenzione che non si accontentano delle regole della buona educazione”; “esercita una spontanea vigilanza sull’ambiente in cui si vive e su quanto vi accade” e “non si accontenta di una porta blindata per garantirsi la sicurezza, ma si sente rassicurato dalle relazioni di reciproca attenzione che si sono stabilite e sono state custodite”. In questo percorso anche “pagare le tasse” diventa “un contribuire a costruire la casa comune, anche se il sistema fiscale del nostro Paese necessita di una revisione profonda”.

L’arcivescovo propone anche la “regola delle decime. “È una pratica buona molto antica, attestata anche nella Bibbia, un modo per ringraziare del bene ricevuto, un modo per dire il senso di appartenenza e di condivisione della vita della comunità. La regola delle decime invita a mettere a disposizione della comunità in cui si vive la decima parte di quanto ciascuno dispone. Ogni dieci parole che dici, ogni dieci discorsi che fai dedica al vicino di casa una parola amica, una parola di speranza e di incoraggiamento. Se sei uno studente o un insegnante, ogni dieci ore dedicate allo studio, dedica un’ora a chi fa fatica a studiare. Se sei un cuoco affermato o una casalinga apprezzata per le tue ricette e per i tuoi dolci, ogni dieci torte preparate per casa tua, dedica una torta a chi non ha nessuno che si ricordi del suo compleanno…”. “Se tra gli impegni di lavoro e il tempo degli impegni irrinunciabili, disponi di tempo, ogni dieci ore di tempo libero, metti un’ora a disposizione della comunità, per un’opera comune”. La stessa logica “diventa interessante se applicata non più soltanto alle singole persone e alla gestione del loro tempo individuale, ma viene proiettata anche sui corpi sociali e sulle azioni che regolano la costruzione della Milano e della Lombardia del domani”.


Non da ultimo, Delpini ribadisce i “compiti” della Chiesa: “Per dare a tutti la sicurezza che come Chiesa ambrosiana intendiamo impegnarci in prima persona in questo esercizio, ricordo il cammino che ho appena chiesto alla diocesi di intraprendere. Ho da poco avviato un Sinodo minore, il cui scopo – come espresso bene dal titolo ‘Chiesa dalle genti’ – è favorire una Chiesa che nel suo quotidiano sappia essere sempre più accogliente e capace di unità, mostrando come Dio ci rende un popolo solo, guarendo le paure che seminano diffidenza e donandoci la gioia che genera comunione e solidarietà”. (Fonte. Agenzia SIR)

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Cernusco sul Naviglio, 6 dicembre 2017