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“PERICOLOSISSIMO FARE POLITICA UNICAMENTE PER RINCORRERE IL SUCCESSO”

“Perché vuol dire non fare politica, vuol dire fare solo il proprio interesse”: è quanto dichiarato da monsignor Galantino a proposito di quanto accaduto in Senato durante la discussione sulla legge di riforma della cittadinanza attiva.


Foto archivio SIR

“C’è preoccupazione per il modo in cui si sta affrontando il tema dello ‘ius soli’. Perché non mi sembra sia il modo migliore quello delle gazzarre ignobili che hanno caratterizzato l’aula del Senato (lo scorso 15 giugno, ndr). Sono cose così importanti sulle quali o ci si confronta o si finisce per affossare continuamente una realtà molto importante”: è quanto ha affermato – come riferisce l’Agenzia SIR - monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, intervenendo domenica 18 giugno a Bologna a un incontro organizzato dal quotidiano La Repubblica.

“L’indagine Demos pubblicata a gennaio da Repubblica – ha ricordato Galantino – dice che tre italiani su quattro sono favorevoli alla cittadinanza di coloro che nascono in Italia”. “È chiaro che questo fa venire l’orticaria a chi ha impostato tutta la politica e la richiesta di consenso sul contrario”, ha proseguito il segretario generale della Cei, sottolineando che “mi preoccupano partiti o formazioni politiche che hanno sempre pensato diversamente e che ora stanno temendo di perdere voti per questo”. Per Galantino, “è pericolosissimo fare politica unicamente per rincorrere il successo perché vuol dire non fare politica, vuol dire fare solo il proprio interesse”.

Il segretario generale della Cei ha aggiunto: “tutti sanno come alcune persone prima hanno detto una cosa, poi ne hanno detta un’altra”. “È importante entrare nel merito della legge – ha proseguito – e capire che certe cose si possono anche cambiare, ma non si cambiano saltando sui banchi, non si cambiano dicendo le parolacce ma mettendosi davanti al testo e dicendo che è importante assicurarsi che il bambino che nasce in Italia conosca bene l’italiano e la storia italiana”. “Non si tratta di appiccicare l’etichetta di ‘italiano’ – ha concluso monsignor Galòantino – ma far sì che l’essere cittadino italiano corrisponda ad un sentire da italiano. Su questo si discute, non ci si prende a botte”.

Così oggi uno straniero può diventare cittadino italiano. Si fa riferimento alla legge 91 del 1992, che disciplina tutte le modalità con cui si acquisisce questo status. Il più comune, e automatico, è l’acquisizione iure sanguinis, ovvero per nascita o adozione da almeno un genitore con cittadinanza italiana. Più residuale invece la possibilità per ius soli, cioè se si nasce da cittadini apolidi, ignoti o qualora i genitori non possano trasmettere la propria cittadinanza al figlio perché lo Stato di provenienza non contempla il diritto di sangue. Lo status civitatis può essere richiesto anche dallo straniero dopo un periodo di regolare residenza in Italia di almeno dieci anni, qualora dimostri di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere condanne penali e in assenza di impedimenti per la sicurezza della Repubblica. Per uno straniero con cittadinanza europea, la permanenza ininterrotta nel nostro Paese si riduce a quattro anni. Si può diventare italiani anche iure matrimonii, sposando appunto un cittadino italiano, dopo due anni di residenza legale in Italia o dopo tre anni di matrimonio se residenti all’estero (termini ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi), a condizione di assenza di precedenti penali. Una fattispecie, questa, riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza della persona che ne fa richiesta. Altro caso è io straniero nato in Italia e che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età, che può presentare la richiesta di cittadinanza entro un anno dal diciottesimo compleanno. (Fonte: Avvenire, 17 giugno 2017)

Il testo della legge sulla riforma della cittadinanza attiva in discussione al Senato, a due anni dall’approvazione alla Camera dei Deputati, in sintesi prevede che i minori nati in Italia da genitori stranieri possano acquisire la cittadinanza italiana se uno dei genitori è titolare di diritto di soggiorno illimitato oppure di permesso di soggiorno dell’Unione Europea per soggiornanti di lungo periodo. l minori stranieri arrivati in Italia entro i 12 anni di età possono diventare italiani dimostrando di aver frequentato regolarmente dei percorsi di formazione: si tratta del cosiddetto ius culturae. La domanda va presentata da uno dei due genitori entro il compimento della maggiore età del figlio, altrimenti potrà essere presentata dal diretto interessato diventato maggiorenne entro i due anni successivi.

Il riconoscere la cittadinanza italiana a ragazzi che parlano in italiano, magari anche con accenti regionali, che studiano in Italia, che frequentano luoghi educativi (oratori compresi), sportivi, sociali e ricreativi italiani - a nostro parre - è un dovere, costituisce un atto di civiltà e, certamente, contribuisce a generare più inclusione e partecipazione nelle nostre città.

Cernusco sul Naviglio, 19 giugno 2017