LEGITTIMA DIFESA: UN DIRITTO E IN ALCUNI CASI UN DOVERE
Rilanciato dagli ultimi avvenimenti di cronaca, si riaccende il dibattito in materia di legittima difesa. La normativa italiana e l’insegnamento della Chiesa.
Foto da www.agensir.it
Il caso del rapinatore ucciso dal ristoratore di Lodi e la caccia all’uomo nelle campagne del ferrarese per catturare il killer in fuga, che ha freddato un barista nel corso di una rapina a Budrio e sta seminando il panico dopo avere ucciso anche una guardia ecologica, riaccende il dibattito sulla legittima difesa. Un tema particolarmente delicato, accompagnato da una forte onda emotiva e a rischio strumentalizzazioni da parte di chi cavalca l’attuale clima di insicurezza e di paura, ma il punto rimane l’equilibrio tra il diritto di difesa da un’aggressione e l’eccesso di legittima difesa.
La normativa italiana. La legittima difesa costituisce una delle “cause di giustificazione” che rendono non punibile un comportamento che altrimenti si configurerebbe come reato. Nel nostro Paese è regolata dall’art. 52 del Codice penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Già nel 2006 si è intervenuti con una modifica di questo articolo, introducendo la cosiddetta legittima difesa domiciliare (o legittima difesa allargata), ossia il diritto all’autotutela in un domicilio privato oltre che in un negozio o un ufficio. In questi casi, è autorizzato il ricorso a “un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo” per la difesa legittima della “propria o altrui incolumità” o dei “beni propri o altrui”. Centrale il principio di proporzionalità tra difesa e offesa, la cui violazione configura la fattispecie dell’eccesso colposo.
“Qualcuno, evangelicamente, può rinunciare a difendere se stesso – ha osservato monsignor Mauro Cozzoli, ordinario di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, intervistato dal SIR - scegliendo la linea del ‘porgi l’altra guancia’ ed evitando di rispondere alla violenza con altra violenza; ma la difesa è invece un dovere nei confronti degli altri, e tanto più lo è quanto più l’altro è piccolo, debole, inerme. La rinuncia a difendere l’altro avendo i mezzi e le possibilità per farlo può configurare addirittura una sorta di correità. Assistere passivamente all’aggressione di un innocente diventa complicità omissiva e colpevole con l’aggressore. Il Vangelo invita sì a porgere l’altra guancia, ma la propria, non quella dell’altro.”
Secondo l’insegnamento della Chiesa per essere legittimo il ricorso alla forza per scopo di difesa deve rispondere a tre condizioni. “Deve anzitutto costituire un estremo, ultimo e inevitabile rimedio – spiega monsignor Cozzoli - dopo che tutte le possibilità e i mezzi non violenti e meno violenti di dissuasione e di difesa dall’aggressore siano stati esperiti senza successo. La seconda condizione di legittimità è che la violenza offensiva sia reale, effettiva; non ipotetica, presunta o possibile. In nessun caso è lecita la violenza preventiva o dissuasiva. La reazione difensiva deve inoltre essere proporzionata alla violenza dell’offesa: non è lecito sparare ad un ladro disarmato, così come non è lecito farlo nei confronti di un’aggressione meramente verbale.”
Anche per il legislatore, il “criterio guida” in materia di legittima difesa, a parere del docente, è riassumibile nei tre requisiti appena richiamati che bilanciano gli interessi di tutte le parti in causa, non rispondono a un dogma di fede ma a una logica etica e, come tali, non sono esclusivamente cristiani ma universalmente umani e ragionevoli.” (Agenzia SIR)
Per leggere il testo integrale dell’intervista a monsignor Cozzoli, cliccare qui.
Cernusco sul Naviglio, 18 aprile 2017