UNA VIA IN FRANTUMI

I media e i luoghi sacri distrutti dal terremoto. La messa in luce di una grande storia.


Norcia, 2 novembre 2016: i segni del terremoto
Foto SIR – Riproduzione riservata

“La lunga via dei santi in frantumi”, così titolava nei giorni scorsi un quotidiano nazionale il servizio dedicato alla distruzione, provocata dal terremoto, di chiese e monasteri. Titoli analoghi in molti altri giornali. Anche le immagini televisive hanno dato la misura di un disastro che non ha però provocato morti. I “santi” si sono sacrificati? Uno stupendo patrimonio culturale che narra la fede cristiana si è offerto al terremoto per risparmiare vite umane? Non ci azzardiamo certo a fare di questi punti interrogativi delle domande: si tratta solo di un pensiero che, come altri, attraversa la mente nel guardare le macerie e nell’ascoltare le voci degli sfollati.

Una riflessione prende invece spazio di fronte all’insistenza mediatica sul crollo di luoghi sacri, una puntuale narrazione sulla perdita di un patrimonio storico, culturale, artistico. I media lasciano però ai lettori e ai telespettatori il compito di leggere nelle opere distrutte, o poste in salvo, tracce di spiritualità e di religiosità che non appartengono al racconto giornalistico. Tuttavia porre in evidenza mediatica, come è stato fatto, la delicatezza con la quale i Vigili del Fuoco trasportano una tela da una parete pericolante di una chiesa a un mezzo che la porterà al sicuro lascia intuire che c’è un “qualcosa in più” in quell’opera salvata. Un “qualcosa in più” che, per così dire, trasforma l’arte in una scala per raggiungere e gustare la bellezza.

I media lasciano intravvedere i volti di innumerevoli uomini e donne che della loro fede hanno fatto un affresco stupendo. Un’opera d’arte che nessun terremoto può cancellare. Gli stessi giornali, senza avventurarsi nella teologia, scrivono che questi uomini e queste donne sono “i santi”. Forse intendono persone perfette e appartenenti al passato. In realtà sono state persone che hanno agito come se tutto dipendesse da loro con la consapevolezza che in realtà tutto dipendeva da Dio. È per questo che un popolo li ha sentiti e li sente vicini e per loro ha costruito chiese e cappelle, ha voluto opere d’arte.

Il terremoto, pur con la sua brutalità, ha messo in luce una grande storia. Proprio a questo riguardo c’è un segno che non sfugge a chi ha camminato e cammina ai bordi della cronaca nei giorni del terremoto in questa parte del Paese. Ed è la pressoché totale distruzione della basilica di San Benedetto, il monaco che Paolo VI proclamò patrono principale dell’intera Europa il 24 ottobre 1964. Nella lettera apostolica “Pacis nuntius” Papa Montini scriveva: “Come egli un tempo con la luce della civiltà cristiana riuscì a fugare le tenebre e a irradiare il dono della pace, così ora presieda, all’intera vita europea e con la sua intercessione la sviluppi e l’incrementi sempre più”.

L’anima dell’Europa dunque ha qui la sua origine. Verrebbe da pensare che se qualcuno non ha voluto che si richiamassero le radici cristiane del Vecchio Continente queste sono affiorate spinte da un terremoto che ha sconvolto il suolo da dove si erano diramate per formare un tessuto culturale e spirituale oltre le frontiere. Anche questi sono pensieri che attraversano la mente mentre si condivide la sofferenza della gente e si guarda alle macerie. Mentre ci si interroga su tanto dolore innocente e sull’andare in frantumi della “lunga via dei santi”. Mentre ci si interroga su come lenire la sofferenza, come riparare una via che è fatta dall’arte, come ricostruire e dare continuità a una via che è fatta da uomini e donne che hanno agito e anche oggi agiscono come se tutto fosse dipeso e dipendesse da loro sapendo che in realtà tutto era dipeso e dipende da Dio.

Paolo Bustaffa per Agenzia SIR

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Cernusco sul Naviglio, 7 novembre 2016