LAUDATO SI’ / 1 - “CAMBIARE IL CUORE PER COLTIVARE E CUSTODIRE IL CREATO”
Il riconoscimento di essere “uomini”, e non “déi onnipotenti”, ci permetterà di non continuare a depredare e a impoverire il mondo in cui viviamo, ma a coltivarlo e a custodirlo.
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Laudato si’, nn. 1-2 - Papa Francesco scrive la sua enciclica sulla cura della casa comune partendo dalle parole del suo santo protettore, Francesco d’Assisi: “Laudato si’, mi’ Signore”. Le parole con cui Francesco apre il Cantico delle creature sono le stesse con cui Papa Francesco dà inizio alla sua prima enciclica, rivolta non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che abitano il pianeta terra. E proprio la terra è oggetto della sua riflessione. Questa nostra terra che, sempre secondo le parole di san Francesco, è nostra sorella e madre: “sora nostra madre Terra”. La terra è “nostra”, ci appartiene, ci è stata data in dono e in essa noi viviamo ed esistiamo. Senza di essa ci sarebbe impossibile vivere un’esistenza umana.
Per questo la terra non è solo “nostra”, ma è anche “sorella”, condivide con noi il miracolo dell’esistenza. Il Papa – nei primi due numeri della sua enciclica – ne parla in modo personificato: la terra è uno di noi, sperimenta le stesse sofferenze e oppressioni che molti poveri vivono ogni giorno. Anzi, questa “nostra” terra, “oppressa e devastata”, è “fra i poveri più abbandonati e maltrattati”. Da qui la necessità di un cambiamento.
Non solo: questa terra è pure “madre” nei nostri riguardi. “Noi stessi siamo terra”, afferma Papa Francesco, appellandosi al racconto di Genesi 2,7. Il nostro essere “umani” ci lega alla terra, all’“humus” di cui siamo fatti e forse proprio chi è più vicino alla terra – i piccoli, i poveri, gli “umili” – ne comprende meglio la sua natura e avverte la necessità di non rompere quel vincolo che lega tutti gli uomini ad essa.
Quando san Francesco compone il Cantico delle creature non lo fa in un momento di pace e di serenità della sua vita, mettendosi a contemplare la bellezza del creato. È invece un uomo malato, quasi cieco, incapace di camminare e vicino alla morte. Eppure san Francesco, in questa condizione, eleva un canto colmo di speranza e di gioia davanti alla vita e al mondo che lo circonda. Anche Papa Francesco scrive questa sua enciclica – che è un vero e proprio inno alla speranza e alla gioia – partendo da quella condizione di morte che coinvolge il nostro pianeta. Non a caso l’altra citazione che ricorre nei primi capoversi della lettera è un passo di san Paolo ai cristiani di Roma, là dove ricorda che tutta la creazione “geme e soffre le doglie del parto” (Romani 8,22).
Più avanti, nello scritto, Papa Francesco invita a vivere quella che chiama una “ecologia integrale”, cioè un’attenzione alla natura che arrivi a toccare e a raggiungere ogni sfera del vivere umano e delle relazioni che intercorrono tra gli uomini, il creato e il Creatore. Ma qui, nelle prime righe della lettera, mi pare che – anche senza pronunciarlo espressamente – il Papa invita a una “ecologia interiore”. Siamo chiamati, come san Francesco, a rientrare in noi stessi e a metterci in atteggiamento di contemplazione davanti al creato e a tutto ciò che ci circonda. Solo con questa capacità di “rientrare in noi stessi”, possiamo “aprirci” all’altro – sia esso la terra su cui viviamo, il fratello che ci sta accanto, il Mistero che ci sovrasta e ci avvolge – e non rimanere schiacciati dalla drammatica condizione in cui noi stessi abbiamo ridotto il pianeta nel quale viviamo.
Il riconoscimento di essere “uomini” – e non “déi onnipotenti” – e di condividere questa nostra “umanità” con coloro che ci sono posti accanto, a partire dai più “umili”, legati tutti alla “sora nostra madre terra” – che sostenta e governa la nostra stessa vita – ci permetterà di non continuare a depredare e a impoverire il mondo in cui viviamo, ma a coltivarlo e a custodirlo così come ci è stato richiesto “fin dal principio” (cfr. Genesi 2,15). Per questo è necessario “cambiare il cuore”.
don
Ettore Colombo
Responsabile della
Comunità pastorale “Famiglia di Nazaret”
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Cernusco sul Naviglio, 4 ottobre 2016