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SOLIDARIETÀ ANCORA EPISODICA

La necessità di costruire una filiera lunga. Perché la nostra solidarietà sarebbe episodica, confinata dentro una filiera corta, poco sensibile verso quello che accade lontano da noi.


Foto archivio SIR – Riproduzione riservata

Una critica che spesso si avanza al sistema Italia è la mancanza di una filiera lunga della solidarietà. Anche se ci coinvolgiamo e sosteniamo iniziative per sostenere persone durante un’emergenza, non riusciamo a strutturare politiche continuative per promuovere la famiglia, per contrastare le povertà, per combattere la disoccupazione, ad esempio. La nostra solidarietà rimarrebbe episodica, confinata dentro una filiera corta: saremmo poco sensibili verso quello che accade a persone distanti sia nello spazio delle relazioni, mentre siamo fortemente attivi verso quelle presenti nelle nostre reti di prossimità, sia nel tempo, cioè non prestiamo attenzione alle generazioni future. Questo non aiuta a cementare la coesione nella società e il senso civico che ne deriva, mentre viviamo legami di comunità e il senso di appartenenza alle cerchie ristrette.

Per alimentare la filiera lunga della solidarietà, in passato sono stati utilizzati gli strumenti del welfare, che hanno creato fiducia tra i cittadini dentro un patto con le istituzioni. Oggi questo non è possibile per ragioni legate al debito pubblico e/o alla crisi economica. C’è però l’opportunità di promuovere realtà del terzo settore, perché sia possibile lo sviluppo di una welfare society.

Un’occasione è la riforma della legislazione del Terzo settore, approvata da marzo, ma ancora non definita completamente tramite i relativi decreti attuativi. La riforma contiene alcune indicazioni importanti per avviare una struttura che possa sostenere la “filiera lunga della solidarietà”: in primo luogo traccia un identikit del terzo settore in modo da poter definire i soggetti e garantire una trasparenza; in secondo luogo richiede una valutazione di impatto sociale, per comprendere quali sia l’efficacia degli interventi realizzati per le persone, per il territorio, per gli ambienti. Questi primi due punti possono stimolare il variegato mondo della società civile organizzata da un lato a ricercare una maggiore efficienza nei suoi interventi, dall’altro a indirizzare in modo sempre più chiaro e trasparente le azioni. Non bisogna trascurare però il rischio di cedere alla tentazione di dirigersi verso forme aziendalistiche, che snaturerebbero il senso del no profit.

C’è poi un terzo ambito su cui interviene la riforma: la possibilità di rendere universale il servizio civile di modo che tutti i giovani che ne facciano richiesta potranno svolgerlo. Questo ultimo punto potrebbe incidere sulla crescita del senso civico delle persone, sarebbe infatti una grande pratica di pedagogia sociale che impegnerebbe i giovani a rafforzare i legami attraverso esperimenti di solidarietà, che sviluppano coesione sociale.

Andrea Casavecchia per Agenzia SIR

Riproduzione Riservata

Cernusco sul Naviglio, 19 settembre 2016