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“GESÙ CHIEDE DI AMARCI GLI UNI GLI ALTRI, ANCHE QUANDO L’ALTRO TI TRADISCE”

Domenica 24 aprile - Scrive il prevosto: «Gesù non dice: “Come io ho amato voi, così anche voi amate me”. Noi forse ce lo saremmo aspettato. Chiede invece di amarci gli uni gli altri.»

Nella quarta domenica di Pasqua, Gesù Risorto ci invitava a “rimanere nel suo amore”. Nella quinta domenica di Pasqua, Gesù ci invita a vivere tra di noi questo amore, per essere segno concreto della novità di vita portata dal Vangelo. Gesù pronuncia le parole che leggiamo nel Vangelo nel momento in cui consegna la sua vita ai suoi discepoli, dopo averla riposta nelle mani del Padre. Questa è la sua “ora”, l’ora del tradimento – Giuda è ricordato poco prima – che si trasforma nell’ora di un amore più grande, nella donazione totale di sé, fatta anche all’amico che tradisce. In questo Dio è stato glorificato nel Figlio dell’uomo e noi abbiamo potuto vedere la sua gloria. Anzi, con le sue parole Gesù ci chiede di diventare noi stessi trasmettitori di questa sua gloria e della sua novità proprio attraverso la testimonianza dell’amore reciproco.

Ai discepoli – che sono stati chiamati amici – Gesù non dice: “Come io ho amato voi, così anche voi amate me”. Noi forse ce lo saremmo aspettato. Chiede invece di amarci gli uni gli altri, anche quando l’altro ti tradisce, come ha fatto lui, perché in questo sta la novità. Ad essere sinceri, noi siamo incapaci di sostenere un amore del genere e lo stesso Gesù ce lo ricorda: “Dove vado io, voi non potete venire”. Abbiamo bisogno della forza del suo spirito per amarci come lui ci ha amato. È questo Spirito, infatti, che ha reso la prima comunità cristiana capace di vivere e di testimoniare l’amore di Gesù, al punto da essere attrattiva nei riguardi degli altri. Così scrive Luca negli Atti degli Apostoli: “Tutti godevano di grande favore”. L’annuncio della risurrezione di Gesù aveva reso nuovo il cuore dei suoi discepoli al punto che tutti coloro che erano diventati credenti avevano un cuor solo e un’anima sola e fra loro tutto era in comune. È questo che spinge altri – come è nel caso di Giuseppe, detto Barnaba – ad unirsi alla comunità dei discepoli di Gesù e a vivere la stessa esperienza.

Noi oggi facciamo un gran parlare di evangelizzazione e ci interroghiamo sui modi con cui possiamo trasmettere in modo credibile il Vangelo. Ma Gesù ci ha già dato il suo suggerimento: è dalla capacità di volerci bene gli uni gli altri, con la forza del suo stesso amore, che veniamo riconosciuti come suoi discepoli e diventiamo attraenti agli occhi del mondo. Quando due cristiani si vogliono bene e si amano dello stesso amore di Gesù – cioè di quella carità che Paolo descrive nella sua Prima lettera ai cristiani di Corinto – allora non hanno bisogno di dire molte parole per attrarre alla fede: la loro stessa vita diventa convincente. Lo possiamo vedere in una singola famiglia, nella stessa comunità cristiana, nei rapporti all’interno di un gruppo, nelle relazioni tra i membri di una parrocchia, in ogni altra occasione in cui ci viene chiesto anzitutto non di darci da fare in mille progetti, ma di volerci bene tra noi. Se nella prima comunità cristiana di Gerusalemme ci fossero state tutte le caratteristiche che abbiamo ascoltato ma non si fossero voluti bene vicendevolmente, non avrebbero convinto nessuno.

Papa Francesco ce l’ha ricordato espressamente nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?” (n. 100).

In questo tempo pasquale, mentre attendiamo di ricevere in pienezza il dono dello Spirito, chiediamo a Dio di vivere della stessa carità di Gesù, quella che Paolo ha descritto così bene e in modo concreto ai cristiani di Corinto, per venire loro incontro e superare le loro divisioni. Chiediamo di avere un animo grande, di essere benevoli, di superare ogni invidia, di vivere nell’umiltà, di avere rispetto per l’altro, di non coltivare il proprio interesse, di mantenere la calma in ogni situazione, di offrire sempre il perdono, di avere sete di giustizia e passione per la verità. Domandiamo di aggiungere a questo decalogo del vero amore le caratteristiche universali della carità: “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

In una parola, domandiamo di poter avere una vita come quella di Gesù, che è la carità del Padre verso di noi, per poter essere credibili nell’annuncio del suo Vangelo. A questo ci serve anche l’Eucaristia che celebriamo, per poter entrare in comunione con il Risorto e vivere una esistenza rinnovata come la sua, qui ed ora, fino al giorno in cui la nostra stessa umanità sarà radicalmente trasformata nella sua e noi vivremo pienamente in lui, lasciando spazio solo alla carità, che non avrà mai fine.

Don Ettore Colombo
Responsabile della Comunità pastorale Famiglia di Nazaret

Per leggere i testi delle letture della Quinta Domenica di Pasqua (Atti 4,32-37; 1Corinti 12,31-13,8a; Giovanni 13,31b-35), cliccare qui

Cernusco sul Naviglio, 24 aprile 2016