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Giovedì 18 Aprile

LA FAMIGLIA E LA SOCIETÀ: LA RETE DI LEGAMI BUONI

Domenica 31 gennaio celebreremo la Festa della famiglia. Nelle nostre tre parrocchie la ricorrenza sarà vissuta con particolare gioia negli oratori. In questi giorni si discute tanto di famiglia, ma si fa poco per aiutarla veramente. Siamo un Paese ormai a nascita zero dove chi fa un figlio rischia di diventare povero. Dove le donne devono nascondere la loro maternità al datore di lavoro per non rischiare di perdere il posto. E dove i giovani devono emigrare per riuscire a farsi una famiglia.

La risposta alla crisi della famiglia, “che riempie i libri, le pagine dei giornali, i talk show televisivi”, per monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, è “la rivoluzione della tenerezza” che consiste nel “non considerare la famiglia per ciò che fa, ma per ciò che è”. “Le nostre famiglie sono asfittiche, sovente sono luoghi di invidie e gelosie, di idealismi delusi e di attese frustrate”, ha riconosciuto il presule che ha parlato di “sfida della misericordia”. “Quanto bisogno c’è di misericordia, tenerezza, fraternità, vicinanza, solidarietà, integrazione, accoglienza. Cominciamo dalle nostre case! La famiglia ha bisogno di aprirsi, per ritornare a star bene insieme”. In particolare, monsignor Brambilla, con l’intelligenza e l’efficacia che ben conosciamo, nell’ultima parte della sua omelia dello scorso 22 gennaio, festa patronale della città di cui è vescovo, si è soffermato sul rapporto tra famiglia e società. Un passaggio che proponiamo di seguito perché offre spunti importanti di riflessione, soprattutto di questi tempi, in cui si discute molto ma si fa poco per la famiglia.

«Uno dei sociologi più citati del nostro tempo, Zygmunt Bauman, teorico della “società liquida” – ha detto monsignor Brambilla - cioè di una società che vive i suoi valori e gesti in modo liquido, perché prendono la forma del contesto in cui si collocano, ha scritto un libro intitolato “Voglia di comunità” (2003). Anche la società sente il fascino discreto di essere una famiglia di famiglie, ma non riesce più a costruire appartenenze stabili, ma solo “comunità di pratiche” comuni. Si sta insieme per un certo obiettivo concreto e fin quando ci si sente bene insieme.»

«Cosa significa, invece, un modo di vivere la società, dove sono presi in considerazione i rapporti già dati nella vita, che la società non crea, ma che essa deve riconoscere già presenti?» A questa domanda, il vescovo di Novara ha così risposto: «Questa è la situazione: c’è “voglia di legami buoni”, ma senza che ci leghino troppo! Devono essere legami liquidi, anzi quasi gassosi. Una società sana, tuttavia, deve assumere le relazioni originarie già esistenti: il rapporto uomo-donna, la relazione genitori-figli, i rapporti di amicizia, i legami sociali. Una società non si regge se non ha questa rete, questa trama che precede e che rende umani i suoi interventi.»

«Di fatto nella vita della società, la famiglia è concepita in termini funzionali, serve per qualcosa, non è un soggetto originario di cui tener conto nello spazio sociale. Per quanto riguarda la legislazione – ha quindi proseguito Brambilla - il soggetto famiglia non è quasi mai considerato come una risorsa. Facciamo un esempio: i nostri cugini francesi, con politiche sulla famiglia, hanno aumentato di un punto percentuale la natalità.» In Italia, invece, quasi nulla è stato fatto.

«Per questo tutti coloro che hanno responsabilità sociale e politica non solo devono fare molto per la famiglia e metterla al centro della loro azione e legislazione, ma possono fare ancor di più con la famiglia. Se la “voglia di comunità” – ha sottolineato il vescovo - non vuol essere solo emozionale o funzionale, ma reale, anche la vita della nostra città (non solo di Novara, ma anche quella di Cernusco e di ogni altra comunità locale della nostra penisola, ndr) deve scoprire il ruolo centrale della famiglia. Questa è la grande perdita del secolo XX. Da una società di famiglie patriarcali siamo passati a una costellazione di individui. Con il freddo siderale che attraversa queste costellazioni. Dobbiamo porre rimedio trasformando la “voglia di comunità” in “pratiche di socialità”.»

«Il Papa a Firenze – ha ricordato il presule - ci ha detto in modo accorato: “Vi raccomando, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria ‘fetta’ della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo, né ignorarlo, ma accettarlo. ‘Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo’ (EG, 227)”.

«Ha fatto anche un’aggiunta inedita per la nostra tradizione italiana – ha evidenziato monsignor Brambilla, riferendosi sempre a Papa Francesco - , dove tutte le nostre iniziative sono targate: “Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà. E senza paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo”.»

La conclusione del vescovo di Novara interpella non solo i suoi fedeli ma tutti i credenti: «Questa indicazione (di Papa Francesco sul modo migliore per dialogare, ndr) è veramente originale e ci apre a un compito immenso.»

C&A

Per leggere il testo integrale, cliccare qui .

Per approfondire:
- Quanto ci sta a cuore la famiglia!
- Festa della famiglia, invitati a “Perdonare le offese”
- Festa della famiglia nei tre oratori

Foto pagina iniziale: Siciliani – Gennari / SIR

Cernusco sul Naviglio, 27 gennaio 2016