EUTANASIA LEGALE/ Quando il “gioco” dei diritti diventa una sconfitta civile

Premessa – La delusione, il dispiacere, l’amarezza, l’irritazione: tutto un crogiolo di emozioni tristi fanno da sfondo a questa sentenza della Corte Costituzionale emessa mercoledì sera dopo la lunga attesa, che pure in qualche modo ci aveva fatto sperare in un ripensamento della Corte, sia in fatto di tempi che di contenuti.
Avevamo chiesto tempo per il Parlamento, anche in considerazione delle complesse e ben note vicende governative di questi ultimi tempi; lo avevamo chiesto soprattutto per il Senato, che di fatto era stato del tutto escluso dal dibattito. Volevamo discutere di un nuovo ddl che correggesse le ambiguità della legge sulle Dat, la 219/2017, evitandone l’interpretazione eutanasica. Ma invece proprio sui quei punti critici la Corte Costituzionale ha costruito la sua sentenza, ribadendone l’impatto devastante sulla vita di tante persone: le più sole, le più fragili, le più malate e le più povere. I giudici della Corte Costituzionale comunque si sarebbero dovuti attenere alle norme in vigore al tempo dei fatti denunciati da Marco Cappato e punire con la sanzione prevista l’imputato. È già abbastanza strano che un imputato venga assolto in base a una norma non ancora emanata, a cui si garantisce effetto retroattivo. La Corte si è sostituita non solo al legislatore, ma anche ai padri costituenti, e ha equiparato il primo diritto, costituzionalmente garantito, il diritto alla vita, al diritto di autodeterminazione derivato dalla legge 219.

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